lunedì 4 luglio 2011

Il filo di Arianna – dalla Terza parte alla Ottava parte

Il filo di Arianna - dalla Terza parte alla Ottava parte



Il filo di Arianna - Terza parte


La mattina dopo Cantagallo era arrivato prima del solito al commissariato. Aveva lasciato detto a Baccio che non voleva essere disturbato. Doveva leggere con calma il rapporto fatto dalla vice su quell’indagine. Aveva detto anche a quelli della Scientifica di lasciargli i reperti trovati con le rispettive foto ingrandite. Gli “scientifici” avevano trovato poco o nulla e niente arma del delitto. Il quadro desolante di quell’inizio d’indagine era completato dall’assenza di testimoni. Le ricerche sull’uomo del gas non avevano dato alcun risultato: fedina penale immacolata. Cantagallo non poteva nemmeno dire di aver trovato il… Giolli!

Iniziò a leggere il rapporto della vice. La donna uccisa si chiamava Franca Giachi, nubile, quarantadue anni, residente a Collitondi. Viveva sola, non era sposata, nemmeno fidanzata e nessun precedente penale. I suoi genitori si erano separati molti anni prima quando aveva sedici anni e dopo che era diventata maggiorenne non li aveva più rivisti. Lavorava da alcuni mesi come domestica dalla signora Piera Giubbolini, settantacinque anni, e nonna materna di Arianna, la ragazza sparita. La signora era rimasta vedova da alcuni anni per la morte naturale del marito Enrico Fontani, geometra ed ex amministratore di condomini di Collitondi. Da allora aveva ripreso a fare il suo vecchio lavoro di sarta in casa. In casa, al momento dell’omicidio della Giachi, c’era la nipote Arianna Pasqualetti di sedici anni, figlia unica di Giovanni Pasqualetti e di Lidia Fontani. La nipote, studentessa in gamba del secondo anno di ragioneria dell’Istituto Saracini Rondinella di Collitondi, era una brava ragazza, carina e sveglia, fidanzata con un suo compagno di scuola, Stefano Conticelli, che faceva il quarto anno dello stesso istituto, carino e sveglio anche lui. A sentire la nonna, i due erano una gran bella coppia. Arianna si trovava nella casa della nonna per fare i compiti. La nonna era uscita per andare a comprare la fodera per un vestito e aveva lasciato in casa la nipote insieme alla domestica. Sempre nel rapporto, c’era scritto che il portiere del condominio, Patrizio Mucci, si era dimostrato gentile e disponibile con la Polizia, ma non aveva potuto essere d’aiuto perché al momento del fatto era nei locali dell’ultimo piano del palazzo per controllare l’ascensore che ogni tanto si fermava. Poi Cantagallo prese in mano i reperti, le foto e notò qualcosa d’interessante. Sul momento non sapeva spiegare perché, ma aveva capito subito che qualcosa non quadrava. Si soffermò su due fotografie ingrandite che avevano in comune uno stesso oggetto. Una foto di un lungo filo bianco di cotone arrotolato a una gamba di una sedia del salotto e un’altra con un altro lungo filo dello stesso tipo arrotolato a un pomello interno della porta di casa.

-La nonna era una sarta- pensava in quell’istante Cantagallo. - Ma cosa ci faceva tutto quel filo bianco arrotolato a quel modo in due punti della casa?-.

Si era fatta l’ora di pranzo e Cantagallo era già al portone ad aspettare Razzo e Bandino. Dopo poco arrivarono i due un po’ trafelati e si scusarono. Nello stesso momento si affacciò Baccio dalla guardiola.

“Commissario, un’ora fa l’ha chiamata il vicario. Non l’ho disturbata, come mi aveva detto lei. Il vicario mi ha detto di dirle che è stato convocato dal Questore per le due di oggi pomeriggio”.

“Grazie, Baccio. Mi sembrava strano che non mi avesse ancora chiamato nessuno dalla Questura” – disse Cantagallo a malincuore. Poi si rivolse ai suoi colleghi. – “Andiamo, sennò faccio tardi”.

I tre a passo svelto s’incamminarono verso Attanasio e Cantagallo ne approfittò per riferire ai due i fatti conosciuti di quello strano delitto con il rapimento della ragazza.

Arrivarono al ristorante, entrarono e si diressero nella piccola saletta interna riservata ai poliziotti del commissariato. La signora Romina, con il suo sorriso smagliante, era già a preparare il tavolo. Si accorse del loro arrivo e si voltò.

“Buongiorno!” – disse la signora.

“Buongiorno, signora”- rispose Cantagallo. – “Oggi andiamo di fretta, tanto per cambiare”.

“Non si preoccupi, commissario. Vado a vedere a che punto sono le vostre ordinazioni”.

Intanto i tre si erano già messi a sedere al loro tavolo.

“Che ne pensate di quel filo di cotone?” – chiese poi ai due colleghi.

Razzo allargò la bocca in un grande sorriso e fu il primo a parlare.

“Io penso che prima è meglio pensare ad altri fili, più lunghi, più saporiti e che non sono di cotone, ma di pasta fatta in casa. Poi si ragiona! Dico bene, Bandino?”.

“Dici bene, Razzo!” – rispose Bandino che impugnò la forchetta e s’annodò al collo il tovagliolo.

“Che fai, Bandino?” – esclamò Cantagallo. – “Mi sembri pronto per la sfida all’OK Corral!”.

“No, commissario. Sono pronto per i pici sulla nana!”.

In quel preciso istante arrivarono tre grandi vassoi fumanti di pici fatti in casa con il sugo di anatra e verdure. La sottile sfoglia gialla di quella pasta fatta ancora come una volta si mescolava nelle fragranze di un sugo di anatra che non temeva confronti. Inoltre delle piccole palline di carne, fumanti e gocciolanti di sugo, spiccavano in ogni piatto.

“Bandino, hai visto che bei pezzi di carne ci sono dentro?” – disse Razzo, sorridendo.

“Ho visto, Razzo!” – e poi, ricordandosi la vecchia battuta che prendeva in giro una pubblicità di qualche tempo fa sui cibi per cani, gli fece. – “O mi sento male…”.

“…o divento CAMPIONE!” – concluse Razzo e ingurgitò la prima polpettina saporita.



Il filo di Arianna - Quarta parte

Cantagallo era arrivato in Questura con buon anticipo. A quell’ora negli uffici non c’era nessuno e i suoi passi rimbombavano nel lungo e ampio corridoio che conduceva all’ufficio del Questore.

-Strano- pensava dubbioso Cantagallo -che Garçia non abbia detto di passare prima da lui. In genere…-.

Non aveva finito di pensare che sentì alla sua sinistra una voce sgradevole che lo chiamava dalla porta spalancata di un ufficio che ben conosceva.

“Commissario Cantagallo?! È lei? Si avvicini, si avvicini, che le devo dire una cosa veloce”.

-Eccoci- pensava di nuovo Cantagallo -come volevasi dimostrare!-.

“Vicario Bonadonna, buonasera” – disse Cantagallo, rimanendo sulla soglia.

“Buonasera, egregio commissario Cantagallo. Rimanga pure lì, non occorre che entri. Le rubo solo un minutino. La stavo aspettando con ansia. Il signor Questore, dottor Fumi Zondadari, mi ha detto che ha già risolto il caso, perciò deve essere subito sgombrato il campo da incertezze e da indecisioni. Il basista è l’uomo del gas e i suoi compari fanno parte della banda della Tratta delle bianche. Le anticipo, commissario, che il signor Questore ritiene che il delitto e il rapimento siano naturalmente maturati nell’ambiente della Tratta delle bianche di Collitondi. Trafficanti senza scrupoli uccidono le anziane donne che si ribellano al ratto delle più giovani e rapiscono le acerbe ragazzine per soddisfare i piaceri di vecchi ricconi d’oltralpe. Molto probabilmente, il basista ha preparato il campo per il rapimento della ragazza uccidendo la domestica e i suoi complici hanno fatto il resto. Senza ombra di dubbio la ragazza è già stata portata in qualche alcova d’oltralpe e il nababbo se la gode alla faccia dei contribuenti. Noi, della Questura Centrale, archivieremo il caso come “crimine maturato nell’ambiente della Tratta delle bianche, commesso da ignoti professionisti d’oltralpe che sono espatriati, sfuggendo alle maglie dell’Interpol”.

Il commissario non parlava. Intanto il vicario continuava.

“Tale efferato crimine, se non fosse risolto in tempi rapidi, potrebbe essere molto dannoso per l’immagine della Questura e del Questore. Si ricordi, che abbiamo il sacrosanto dovere di porre in atto quanto abbiamo in nostro potere per tranquillizzare la cittadinanza. Poi, egregio commissario Cantagallo, si ricordi sempre quello che le dico. Quando si è perpetrato un fatto criminoso, abbiamo il dovere d’intervenire per rassicurare la gente, in quanto i criminali devono sapere che «Sine qua non», ovverosia «Siamo qua noi», come dicevano i latini e anche il signor Questore. Le raccomando, durante il colloquio con il signor Questore Zondadari, tatto e modi garbati. La saluto. Vada pure, perché è già in ritardo. Si sbrighi, commissario. È in ritardo con la convocazione del signor Questore. Buonasera”.

“Buonasera” - rispose asciutto il commissario e girò il sedere per andare dal Questore.

Alla fine del corridoio sulla destra c’era l’ufficio di Zorro. Anche questa porta era aperta.

“Vivaddio, Cantagallo! Alla buon’ora!”- esclamò il Questore Zondadari, da dietro la sua scrivania. – “È da ieri sera che la sto cercando per mare e per terra”.

“Questore, ieri sera mancava il segnale…”.

“Altro che segnale!”- tuonò l’altro, con il suo sgradevole tono di superiorità. -“Le mancava un telefonino nuovo, altroché! Ad ogni buon conto, Cantagallo, veniamo a noi. I gravi fatti accaduti ieri notte mi lasciano basito. Una governante barbaramente uccisa, una giovane innocente rapita e preda dei trafficanti di donne. Due efferati crimini in una sola notte! Siamo già sulla bocca di tutti! Per non parlare della campagna denigratoria che metterà in atto la stampa avversaria nei confronti della mia persona e della Questura. Sarò lo zimbello di tutta Castronuovo! Bisogna dare una risposta immediata agli organi di informazione! Del resto, la soluzione del caso è lampante ed è sotto gli occhi di tutti! La mia attenta ricostruzione dei fatti indica chiaramente che si tratta di un crimine commesso dalla spregevole banda della Tratta delle bianche che imperversa da tempo in tutta la provincia…”.

“Questore, ma di questa banda che dice lei non si è mai sentito parlare e …” - tentò di replicare Cantagallo, innervosito da certe frasi che non avevano né capo né coda.

“Non m’interrompa, Cantagallo! Quando lei parla, IO l’ascolto! Mi lasci concludere! Quando c’incontriamo, fra me e lei, è sempre così. M’interrompe e mette bocca con quei suoi modi contadini di interloquire! Non siamo mica delle comari sull’aia di una fattoria a battere il granturco! E poi questa inezia che lei dice: «Non si è mai sentito parlare, eccetera, eccetera», ma che importanza vuole che abbia! L’opinione pubblica non può essere messa al corrente di tutto quello che succede in Questura!”.

“Continui pure, Questore” – Cantagallo era sfinito, esausto, da tutte quelle parole senza senso.

“Allora, dicevo, il basista della banda della Tratta delle bianche, quel tale Giolli, ha trucidato la domestica che si opponeva al crimine e ha così aperto la strada ai suoi complici che hanno rapito la ragazza. Il basista è stato lasciato sul posto per depistare la Polizia, mentre i criminali hanno portato a termine il loro piano con il rapimento della giovane innocente. Senza ombra di dubbio i criminali sono già oltre il nostro confine e hanno già consegnato la povera giovane al ricco nababbo che se la gode nella sua alcova coatta oltre frontiera. Noi, della Questura Centrale, archivieremo questo caso come “crimine maturato nell’ambiente della Tratta delle bianche, commesso da ignoti professionisti d’oltralpe che sono espatriati, sfuggendo alle maglie dell’Interpol”.



-E bravo Zorro!- pensava Cantagallo. -Aveva imparato a memoria gli appunti di Garçia e in meno di ventiquattrore, aveva risolto il caso. Al suo confronto, l’investigatore Ercule Poirot poteva andare a vendere i brigidini al mercato del paese-.

Il commissario era in silenzio: come quelle caffettiere al fuoco che prima non fanno rumore e poi sbuffano a tutto vapore quando incomincia a uscire il caffè!

Il Questore, imperterrito, continuava la sua arringa trionfale.

“Tale efferato crimine, Cantagallo, se non fosse risolto in breve tempo, danneggerebbe molto la mia immagine anche dinanzi al popolo della mia contrada. Proprio ora che la data del venti di ottobre è ormai alle porte! Le ricordo, che in quella domenica, successiva di un mese dall’ultimo Palio dei somari, la città si addobba a festa per il ringraziamento alla Beata Vergine. Ad ogni buon conto, Cantagallo, dobbiamo porre in atto quanto abbiamo in nostro potere per tranquillizzare l’opinione pubblica. Si ricordi sempre quello che le dico. Siamo di fronte ad un crimine irrisolvibile e, come dicevano i latini, che lei, Cantagallo, non ha conosciuto: «Ad impossibilia nemo tenetur». Cantagallo, non stia a lambiccarsi il cervello, gliela traduco io la frase: «Nessuno è tenuto a fare cose impossibili». Non possiamo, però, nemmeno stare fermi e questa è la versione che dobbiamo dare dei fatti accaduti, senza ombra di dubbio!”.

-Tutto come sempre e non poteva essere altrimenti!- pensava Cantagallo. - Zorro ha impacchettato la soluzione dell’indagine con quello che gli ha detto Garçia -.

Il commissario prese dalla sua valigetta gli appunti dell’indagine e rispose tranquillo al Questore.

“Questore, i fatti parlano chiaro. Dagli indizi a nostra disposizione e da certe indiscrezioni fornite dai nostri informatori” – Cantagallo, quando era necessario, mentiva pur di avere subito un vantaggio nell’indagine in corso - “risulta che si tratti di un crimine a sfondo passionale. Niente a che vedere con la banda della Tratta delle bianche. Importanti elementi” – Cantagallo dava il meglio di sé in certe situazioni – “ fanno ragionevolmente supporre che chi ha ucciso la donna ha poi rapito la ragazza che aveva visto e sentito troppo. Chi ha ucciso la domestica non è un professionista. Gli esami del medico legale lo confermano, e non ci sono elementi che indichino la presenza di uomini di questa fantomatica banda della Tratta delle bianche. L’analisi della scena del crimine parla chiaro ed esclude la presenza di altre persone. Non vorrei, Questore, che alla stampa fosse servita una soluzione fumosa che finirebbe per mettere in cattiva luce la sua persona e la Questura intera”.

Il Questore ascoltava in silenzio e con attenzione. Poi iniziò a parlare con un tono più dimesso.

“Ad ogni buon conto, Cantagallo, se gli indizi e le indiscrezioni…”.

Cantagallo non era contento. Rincarò la dose e affondò la stoccata vincente.

“E poi, Questore, proprio in questo delicatissimo momento, del ringraziamento alla Beata Vergine. Sarebbe un sacrilegio se l’atmosfera che regna nella città” – Cantagallo attingeva a tutta la sua dialettica migliore per infinocchiarlo – “ fosse rovinata da qualche articolo del Corriere che espone alla gogna la sua persona. Mi dia cinque giorni di tempo e risolvo il caso”.

Il Questore si fece pensieroso. Immaginava il funesto articolo in prima pagina sul Corriere:







“Commissario Cantagallo, alla luce dei fatti nuovi, di cui giungo a conoscenza solo in questo istante, convengo che ci siano degli elementi validi per proseguire la strada che ha intrapreso. Ad ogni buon conto, dei cinque giorni non se ne parla nemmeno. Le posso concedere due giorni, tutto compreso, e non uno di più. Se li faccia bastare. Può andare, Cantagallo. La devo liberare dalla riunione perché sono atteso ai preliminari della cerimonia del ringraziamento. Buonasera”.

“Bene, Questore Zondadari. Buonasera”.



Il filo di Arianna - Quinta parte

Cantagallo per tutto il viaggio di ritorno a Collitondi pensava e rimuginava su quel benedetto filo di cotone. Più ci pensava e più si convinceva che c’era qualcosa che non gli tornava. La signora Piera era una sarta e nel salotto c’erano molti fili in giro, ma quel filo legato alla sedia e alla porta non era normale. Per sgombrare il campo da qualsiasi dubbio decise di passare dalla casa della signora Piera per avere qualche informazione su quel filo. Parcheggiò l’auto nelle vicinanze del condominio e scese. Prima di entrare nel palazzo si avvicinò a una persona che conosceva bene.

“Comandante Cherubini, buonasera” – disse subito – “Vedo che è impegnato in prima persona per seguire la faccenda”.

“Buonasera, commissario Cantagallo. Sì, di pomeriggio ci sono io insieme ad un altro collega. Facciamo quello che abbiamo concordato ieri. Io e un altro collega controlliamo in modo discreto il condominio con la speranza che qualcuno si possa fare vivo. Due vigili urbani possono girare in un parcheggio e nessuno può pensare che controllino un palazzo. Qualcuno si è fatto vivo con la famiglia?”.

“No, per ora nessuno si è sentito. Mi raccomando, se vede qualcosa di sospetto non esiti a chiamare. C’è in ballo la vita di una ragazza di sedici anni”.

“Non dubiti, commissario”.

“Buon lavoro, comandante e grazie”.

“Prego e buon lavoro anche a lei”.

Cantagallo proseguì e suonò al campanello della signora Piera. La voce della donna chiese chi è e alla risposta del commissario aprì il portone. Fatti pochi passi Cantagallo incontrò il portiere del condominio che gli venne incontro.

“Buonasera, sono Patrizio, il portiere. Posso esserle utile?”.

“Buonasera, sono il commissario Cantagallo del commissariato di Collitondi. Salgo dalla signora Piera per quel fatto avvenuto ieri sera”.

Il portiere non indossava una divisa, ma era vestito in abiti normali. Aveva dei pantaloni in lana senza piega, una camicia a quadrettini scolorita sotto un golfino dai colori indefinibili. Era un po’ più basso del commissario e un po’ più vecchio d’età, anche nell’aspetto. Una calvizie avanzata aveva confinato i capelli brizzolati alla periferia della testa che era abbronzata per metà, come se tenesse in testa un cappello quando andava fuori.

“Ah, già! Per quel fattaccio della domestica e della nipote. Io ho già detto ai poliziotti tutto quello che sapevo. Quando è successo ero a controllare l’ascensore e non mi sono accorto di nulla. Se posso darle una mano, dica pure. Sono a sua disposizione. Vivo da solo e sto qui tutto il giorno nella guardiola, se non devo fare dei lavoretti per i condomini. Perciò se posso dare una mano alla Polizia, sono qui pronto a farlo. Ho tanto tempo libero. Sa, non faccio le pulizie del palazzo. A quelle ci pensa una ditta che viene da fuori ogni venerdì e pulisce pure l’ascensore. Mi hanno assunto per i furti che sono capitati nel condominio negli anni passati e da quando ci sono io non è più successo” – disse lui, orgoglioso. – “Sa, signor commissario, in questo condominio mi stimano tutti per quello che faccio. Proprio l’altro giorno…”.

Cantagallo troncò il colloquio perché voleva parlare alla nonna e rientrare presto al commissariato. Notò che il portiere era troppo insistente nel volersi dare da fare a tutti i costi e nel dire le sue doti.

“Mi scusi, signor Mucci, ma la devo proprio lasciare. Dopo, mi aspettano al commissariato. Arrivederci”.

“Arrivederci, signor commissario” – rispose il Mucci, un po’ seccato.

Cantagallo prese l’ascensore per fare prima. Mentre saliva si guardò allo specchio per darsi una sistemata e l’occhio gli cadde su qualcosa di bianco che pendeva dalla cornice metallica che sosteneva il vetro: era un piccolo pezzo di filo bianco arrotolato intorno ad una vite di poco sporgente. Prese le foto dalla sua valigetta, le confrontò con quel pezzo di filo dell’ascensore e notò che erano molto simili. Non perse tempo. Quando l’ascensore si fermò al piano, con il suo telefonino fotografò il filo arrotolato alla vite. Poi, con un guanto mono uso, che prese da una confezione che teneva nella sua valigetta per ogni evenienza, raccolse il filo sfilandosi poi il guanto in modo tale da fare rimanere all’interno il pezzo di cotone. Uscì sul pianerottolo e la signora era già sull’uscio ad aspettarlo. Lo salutò, chiese notizie della nipote e poi lo fece accomodare nel salotto. Cantagallo spiegò alla signora i fatti, le fece vedere i reperti del filo, le foto scattate del filo arrotolato, senza dirle del filo che aveva trovato nell’ascensore. Poi le chiese che tipo di filo fosse quello arrotolato e se fosse stata lei ad arrotolarlo.

“È normale filo da imbastire, basta poco e si rompe. No, signor commissario. Non sono stata io ad arrotolare il filo a quel modo. Perché avrei dovuto farlo? Il filo usato lo butto sempre in terra. Ora che mi ci fa pensare, devo averlo finito tutto perché non trovo più il rocchetto di quel filo”.

“Signora, la ringrazio è stata molto utile. Ora però devo scappare al commissariato. Buonasera”.




Il filo di Arianna - Sesta parte

Il commissario non pose tempo in mezzo e telefonò a Baccio perché avvertisse il resto della squadra della convocazione della solita riunione di lavoro. Nel giro di dieci minuti era già al commissariato e stampò con il computer le foto che aveva scattato con il telefonino. Poi prese il kit d’emergenza della Scientifica e chiuse in una busta di plastica trasparente il reperto del filo trovato nell’ascensore. Aprì la porta della stanza da lavoro e incominciò a preparare i pannelli con gli indizi di quell’indagine. Nel pannello di sinistra, quello della vittima, mise le foto della domestica uccisa, della ragazza rapita, dei pezzi di filo arrotolato e le bustine con il filo repertato. Nel pannello di destra, quello dell’ipotetico criminale, solo un foglio bianco, con disegnato un grande punto interrogativo fatto con il pennarello nero. Cantagallo, mentre sistemava gli oggetti, pensava di nuovo a quei pezzi di filo di cotone arrotolato. Se la signora Piera non era stata, chi poteva averlo fatto? La domestica? Per quale ragione avrebbe dovuto arrotolare dei pezzi di filo per la casa? Avrebbe semmai dovuto toglierli per fare vedere che aveva pulito. Rimaneva solo la nipote Arianna. Poi c’era anche il fatto del rocchetto di filo da imbastire che non si trovava. Cantagallo metteva insieme mentalmente tutti quei fatti: pezzi di filo arrotolato, rocchetto di filo sparito, Arianna sparita. Poi, a un tratto, mentre posizionava una bustina con il filo sotto la foto di Arianna, ebbe come un’illuminazione e mise insieme le due parole: filo e Arianna. Cantagallo era convinto di aver trovato l’indizio chiave di quell’indagine. La sua ipotesi gli sembrava molto semplice, ma poi si convinse che non poteva escluderla.

Intanto il resto della squadra arrivò nella stanza alla spicciolata. Salutarono tutti il commissario e si misero a sedere di fronte al grande tavolo che stava davanti ai pannelli. La squadra era al completo, non mancava nessuno: la vice, Turchi Nicoletta, gli ispettori, Bandini Marcello, Razzi Massimo e gli altri, Bacciottini Massimo detto Baccio, Capperucci Anna detta Cappera, Neretti Gabriele detto Nero, Mannucci Nicola detto Manno, Bandini Lolita che era la sorella di Bandino detta Bandina, e Antichi Lucia detta Antica.

Il commissario, come da copione, prese la parola per illustrare i fatti.

“Vi ho convocato un po’ in fretta perché c’è un nuovo indizio che ho scoperto proprio poco fa, prima di fare una visita alla signora Piera. Il fatto nuovo è questo” – e mostrò l’ultima bustina con il filo e la foto scattata nell’ascensore. – “L’ho trovato arrotolato a una vite dello specchio dell’ascensore del condominio della signora, nello stesso modo degli altri due trovati in casa. Il filo è dello stesso tipo degli altri due pezzi e si tratta di filo da imbastire che si rompe facilmente con le mani. La signora mi ha detto anche che non trova più il rocchetto del filo da imbastire e che forse lo deve aver finito tutto. Ricordo a chi non ha seguito l’indagine nei dettagli che un filo arrotolato è stato trovato a una gamba del salotto, un altro a un pomello interno della porta di casa della signora Piera e l’ultimo nell’ascensore, e tutti e tre sono arrotolati allo stesso modo. Tre sono troppe come coincidenze e sono comunque delle coincidenze strane. La signora Piera mi ha detto che non è stata lei ad arrotolare quei pezzi di filo. La domestica la escludo perché deve pulire la casa. Rimane solo la nipote Arianna” – Cantagallo si concesse una pausa, mentre guardava i suoi colleghi.

“E perché Arianna doveva usare del filo, commissario?” – chiese Baccio, dubbioso e frastornato.

“Hai fatto una bella domanda, Baccio” – rispose Cantagallo. - “Però risponderò con un'altra domanda, che faccio a tutti. Se mettete insieme filo e Arianna cosa vi viene in mente?”.

“Il filo di Arianna” – rispose subito Antica, la più acculturata della squadra – “è conosciuto per una storia della mitologia greca che racconta di Arianna che si innamorò di Teseo quando lui sbarcò con la sua nave a Creta per uccidere il Minotauro nel labirinto. Arianna diede a Teseo un gomitolo di lana perché potesse segnare la strada percorsa nel labirinto e quindi uscirne facilmente. Dopo Arianna fuggì con lui e gli altri ateniesi verso Atene, ma Teseo l’abbandonò sull'isola di Nasso”.

“E brava Antica!” – esclamò il commissario. –“Ero sicuro che sapevi la risposta”.

Razzo sorrise e disse a sua volta.

“Lo sapevo anch’io, commissario. Ma ho voluto che fosse Antica a fare la bella figura. Dico bene, Bandino?” – chiese poi a Bandino che gli stava accanto e che rideva di nascosto.

“Dici bene, Razzo” - rispose l’altro, ironico, e rincarò la dose. - “Se ogni tanto Antica non la facciamo sfogare con le sue informazioni culturali, ci rimane male”.

“Comunque” – era il commissario che continuava – “per me il messaggio è chiaro. Arianna ci ha segnato la strada che ha fatto quando è stata rapita. Forse non è neppure troppo lontana. Pensavo questo. Domani mattina, Nero e Manno travestiti da elettricisti, controlleranno dall’interno il condominio e riferiranno quello che succede. Loro due sono poco conosciuti all’esterno del commissariato e non danno nell’occhio. Fingerete di essere degli operai dell’Enel e speriamo scappi fuori qualcosa. Ah, dimenticavo. Oggi ho visto il Questore e ci ha dato due giorni per risolvere l’indagine”.



Il filo di Arianna - Settima parte

“Buongiorno, Iolanda” – disse Cantagallo alla moglie, appena arrivò in cucina per fare colazione. – “Luigi?” – chiese poi non vedendo il figlio.

“Buongiorno, Angelo. Luigi è sempre in bagno. Che ci farà, non si sa!” – rispose lei, mentre finiva di mettere il caffelatte nelle tazze. Poi si accorse dell’arrivo del figlio. - “Ben arrivato, Luigi!”.

“Buongiorno” – rispose il figlio assonnato, mentre terminava di vestirsi.

“Buongiorno” – disse di nuovo Cantagallo. – “Io mi sbrigo perché l’indagine su quella ragazza rapita non ci dà tregua e devo essere presto al commissariato. Lo sapete anche voi che…”.

“…il crimine non aspetta” – conclusero insieme Iolanda e Luigi.

Cantagallo terminò la colazione, baciò la moglie, baciò il figlio, prese il sacchetto della spazzatura, uscì e salì sull’auto per andare al commissariato. Intanto Nero e Manno avevano già preso posizione con le loro tute da falsi operai dell’Enel. Di prima mattina si erano presentati al portiere Mucci e avevano accampato la scusa che erano di una ditta in sub-appalto che lavorava per conto dell’Enel per fare dei lavori di manutenzione a una centralina elettrica del condominio. Il Mucci dopo un po’ si era convinto e si era messo nella guardiola a farsi gli affari suoi. Ogni tanto dava un’occhiata agli “operai”, poi continuava a leggere un grosso libro che teneva sul tavolino. Il condominio era poco trafficato, anche se gli inquilini erano molti. I soliti via vai la mattina presto, distributori di volantini pubblicitari, postino e qualche chiamata dei condomini per il portiere. Tutto sembrava tranquillo. Nero e Manno continuavano indisturbati il loro lavoro facendo la spola fra le cantine e i locali interni vicini all’ingresso del palazzo dove si trovavano i contatori elettrici generali del condominio. Non avevano notato niente di particolare salvo il fatto che il Mucci leggesse sempre un grosso libro. Addirittura lo videro mentre faceva sulle pagine delle annotazioni con il lapis e altre volte usava una penna rossa. Quando si volevano avvicinare per capire cosa facesse, il Mucci, faceva finta di niente, chiudeva subito il libro e si metteva a consultare l’elenco telefonico. Ogni volta che provavano ad avvicinarsi alla guardiola non avevano avuto la possibilità di capire cosa scrivesse su quel libro e di quale libro si trattasse.

Intanto al commissariato due condomine del palazzo della signora Piera avevano chiesto un colloquio urgente con il commissario Cantagallo per fare una testimonianza sul delitto. Le due signore, entrambe vedove e di statura normale, avevano una certa età, intorno ai settantacinque anni, e si erano già piazzate a sedere di fronte al commissario. Una più grassa e più alta, capelli neri tinti perfetti e un po’ più giovane, era la signora Adua Grassini, mentre l’altra più snella e più bassa, capelli brizzolati mossi e un po’ più vecchia, era la signora Ada Grassi. Adua abitava sopra la signora Piera, mentre Ada abitava nell’appartamento di fronte. Le due donne da più di venti minuti bombardavano il commissario con una pioggia di parole e Cantagallo era rintronato da quel fuoco incrociato di discorsi che a malapena riusciva a capire. Le poche cose che aveva capito erano che Ada e Adua vivevano da sole, Ada faceva la carne alla brace sul suo terrazzo la domenica e Adua stendeva le lenzuola dal suo balcone sempre di domenica. Durante il giorno si parlavano dal terrazzo, Ada sotto e Adua sopra. Cantagallo capiva che le due signore avevano bisogno di parlare, ma c’era un limite a tutto. Per un po’ le lasciò sfogare.

“Vede, signor commissario” – diceva la signora Adua – “io lo dico sempre a Ada: non fare troppo fumo con quella brace, che mi s’affumicano le lenzuola! Io tendo le lenzuola fino al tocco e dopo tu accendi la brace, e fai tutto il fumo che ti pare. Lei che dice, signor commissario?”.

“In effetti, ma…” – Cantagallo cercava di fare una breccia in quel muro di parole senza riuscirci.

“Vede, però, signor commissario” – ribatteva la signora Ada – “io lo dico sempre a Adua: dimmelo che tu hai teso le lenzuola e accendo la brace dopo! Adua, invece, che fa: piglia le lenzuola e, di nascosto, le tende senza dirmelo. Le pare il modo, signor commissario?”.

“Signore, scusate” – Cantagallo si era alzato in piedi per interrompere quelle chiacchiere. – “Ma non eravate venute a parlarmi di quella testimonianza?” – e si rimise a sedere.

“Giusto, signor commissario” – rispose Ada che poi guardò Adua per avere da lei il cenno a proseguire. Lo ebbe e proseguì. – “Si tratta di quell’uomo, il Giolli. Per noi è il colpevole. Da alcuni giorni gira nel condominio ed entra nelle case. Per noi è lui l’uomo che ha ammazzato la povera Franca. Il Giolli ha proprio una brutta faccia da delinquente. Vero, Adua?”.

“Vero, Ada!” – rispose l’altra – “un viso brutto come quello non l’ho mai visto”.

“Cara signora Ada…” – iniziava a dire Cantagallo, rivolgendosi a quella che pensava fosse la signora Grassi e che non lo era.

“Adua, signor commissario. Io sono Adua e non Ada!” – esclamò la corpulenta signora.

“Scusi, signora Adua. Io la ringrazio per la sua testimonianza, come ringrazio lei…” – Cantagallo si era voltato verso l’altra signora, ma fece una pausa perché con tutte quelle Ada e Adua era entrato in confusione. Pensò un attimo e continuò – “signora Adua…” – ma aveva sbagliato un’altra volta.

“Signor commissario, io sono Ada e non Adua!” – esclamò irritata l’altra.

“Scusi, signora Ada. Il fatto è che il signor Giolli è innocente ed è già stato scagionato. Passava di lì per caso mentre faceva il suo lavoro per la lettura dei contatori del gas”.

Le signore ci rimasero male. Indispettite dalla notizia, si alzarono di scatto dalle sedie.

“Andiamo, Ada! Tanto qui non serviamo più!” – disse quella, facendo le spallucce.

“Brava, Adua! Così faccio in tempo a passare dal macellaio della Coppina!” – approvò l’altra.

E uscirono a braccetto dall’ufficio di Cantagallo.




Il filo di Arianna - Ottava parte

Anche il commissario ne approfittò per farsi un giro in paese. Voleva vedere se certi suoi “informatori” erano al corrente di qualcosa sul conto della nipote rapita o della domestica uccisa. Passò prima dall’edicola perché doveva ancora comprare il giornale.

“Gazzetta, buongiorno!” – disse il commissario, entrando nell’edicola.

“Buongiorno, signor commissario!” – rispose l’edicolante. – “Ecco a lei” – fece sempre lui, mettendo sul bancone il quotidiano di Cantagallo.

“Mi hanno detto che in paese non si parla d’altro che di quello che è successo l’altra sera. Tu, Gazzetta, sai qualcosa?”.

Gazzetta faceva il finto tonto, come sempre, quando sapeva qualcosa e non voleva far vedere a Cantagallo che era informato sui fatti accaduti. Tergiversava, prendeva tempo, biascicava qualcosa e poi buttava là quello che sapeva, come se niente fosse. Ma stavolta poteva essere poco d’aiuto.

“Ma che le devo dire, signor commissario” – iniziò lui, stringendosi nelle spalle. – “Quella Franca era una gran brava donna. Andava a servire in due famiglie del paese e si faceva pagare il suo, senza approfittarsene. Una volta la indicai a una famiglia che aveva bisogno di un aiuto in casa per guardare dei bimbi piccoli. Era proprio una brava donna. Non meritava una fine brutta così”.

“E della nipote della signora Piera, che mi dici? Frequenta brutte compagnie?”.

“Chi? Arianna? Ma nemmeno per idea! Arianna è una ragazza che tanti genitori vorrebbero avere come figlia. Ha un fidanzato, Stefano, che abita in paese e anche lui mi sembra un ragazzo a posto. Fanno la stessa scuola, se non sbaglio. Arianna è brava, tranquilla, senza grilli per la testa. In settimana studia e poi fa un po’ di struscio per il paese. Il sabato va a ballare in discoteca, così come deve essere per una ragazza di quell’età. Non l’ho mai vista a giro con gentaglia o ragazzacci. Ma lei pensa che sia stata rapita da un maniaco?”.

“No, Gazzetta. Non ho detto questo. Cerco soltanto di capire qualcosa di questa faccenda per scoprire il colpevole. Tutto qui. Ti ringrazio per quello che mi hai detto. Ci vediamo. Buongiorno” – pagò il giornale e uscì per andare dal suo amico del bar pasticceria Pierina.

Santonorè fu più sbrigativo dell’edicolante. Era nel bel mezzo della preparazione di una crema pasticcera perché doveva consegnare dei dolci a un cliente ed era in ritardo. Il profumo della vaniglia aveva impregnato la tuta bianco latte del pasticciere. Ascoltò il commissario e confermò a Cantagallo quello che aveva detto Gazzetta. Poi lo salutò e scomparve nel retro bottega, portandosi dietro un dolcissimo odore di crema.

Cantagallo ritornò sui propri passi. Quell’uscita in paese non aveva dato buoni frutti. Non poteva certo basare le sue ipotesi investigative su delle chiacchiere di paese, ma a volte certe indiscrezioni potevano essere utili per battere una pista o condurre l’indagine in un certo modo. Aveva pochi elementi in mano e c’era sempre a piede libero un criminale che aveva ucciso una donna e rapito una ragazza. Per ora, gli unici indizi erano quei pezzi di filo arrotolato.

Se ci pensava bene, la sua ipotesi investigativa era così debole cha poteva stare appesa a un filo… da imbastire!

Mentre pensava, cominciò a suonare il suo telefonino. In genere, quando era fuori ufficio, Cantagallo aveva difficoltà a trovarlo subito, quando suonava.

“Ma dove si sarà cacciato questo telefonino? Proprio ora che mi stanno chiamando”- mentre si tastava dappertutto per capire dove fosse. - “Ah, eccolo! Pronto! Eccomi, Nero. Dimmi tutto. Ci sono novità?”.

“Dipende, commissario”.

“Spiegati meglio, Nero”.

“Nel palazzo non abbiamo notato nessun movimento strano. Siamo lì da stamani e nessun estraneo ci ha dato nell’occhio. Però abbiamo notato qualcosa di strano in quel portiere. Quando sta nella guardiola legge sempre un libro grosso. Lo sfoglia, ci scrive qualcosa sopra con il lapis e poi sottolinea delle frasi con una biro rossa. Se ci avviciniamo alla guardiola chiude il libro e prende l’elenco telefonico”.

Cantagallo era incuriosito da quello che raccontava Nero.

“E allora?”.

“Allora abbiamo aspettato che qualcuno lo chiamasse. Abbiamo aperto il libro e lo abbiamo sfogliato per fare delle foto con il telefonino alle pagine scritte e sottolineate”.

“Ma di che frasi si tratta?”.

“Non glielo so dire con precisione, commissario. Abbiamo fatto in fretta per evitare di essere scoperti. Ho visto solo l’autore e il titolo del libro”.

“È un giallo?”.

“No, commissario. È un altro genere. È la Divina Commedia di Dante Alighieri”.

Nessun commento: