lunedì 31 dicembre 2007

La prima indagine del commissario Cantagallo

Arriva la primavera a Collitondi e anche i guai per il commissario Angelo Cantagallo. Un vicolo cieco del paese toscano diventa il silenzioso teatro di sanguinosi delitti. Dei lavoratori immigrati sono uccisi a colpi di coltello da un brutale omicida che sembra giocare a “gatto col topo” con il commissario. L’assassino mette in scacco Cantagallo che, insieme alla sua squadra di abili colleghi, deve svolgere un’indagine minuziosa per scoprire il colpevole. Pochissime tracce e nessun testimone: questo è il pane quotidiano di Cantagallo che si muove nel mondo del lavoro nero dell’edilizia e degli extracomunitari del paese. La pista investigativa del commissario è sinuosa e accidentata: tutta “poggi e buche”, come dicono in paese. Ma, siccome, si dice anche che “poggio e buca fanno piano”, la strada alla fine si spiana per il poliziotto di Collitondi. La tecnica d’indagine è particolare: è seguita ogni traccia e ogni indizio che, per il commissario, costituiscono le tessere di un “mosaico criminale”. Completato il “mosaico” è risolta l’indagine. Cantagallo analizza i fatti nella sua stanza da lavoro, il vero e proprio laboratorio investigativo del commissariato. Cantagallo cerca di ricostruire il luogo in cui sono avvenuti i delitti e prende in considerazione ogni piccolo dettaglio: visiona anche un filmino del vicolo per immedesimarsi meglio nella scena del crimine. Le cose però si complicano e il commissario capisce che deve agire rapidamente e con molta cautela. A complicargli la vita c’è pure il suo capo, il Questore Fumi Zondadari, detto Zorro dallo stesso Cantagallo. Il Questore lo intontisce di frasi in latino per mascherare la propria incapacità investigativa e per mettere in difficoltà il commissario. Cantagallo è un tipo che non cede facilmente e ribatte a suon di proverbi che lasciano frastornato il Questore e gli permettono di abbandonare la discussione, prima che degeneri. Il commissario abbandona volentieri le discussioni, ma non rinuncia alla buona tavola. Abitualmente, insieme ai colleghi Razzo e Bandino, mangia al ristorante “Attanasio”, dove i piatti squisiti e l’accoglienza della proprietaria sono il migliore biglietto da visita della rinomata struttura gastronomica cittadina. La buona cucina paesana, però, non distrae Cantagallo che con la sua esperienza, la sua intelligenza e la sua squadra riesce a venire a capo della vicenda e a completare il “mosaico”. Tutto è stato risolto con un colpo a sorpresa del commissario. Le sorprese per il lettore, però, non sono finite: l’ultima attende Cantagallo nel vicolo San Giorgio. E come direbbe senz’altro il Questore Zondadari: “Dura lex sed lex… a Collitondi”.

domenica 30 dicembre 2007

Il commissario Angelo Cantagallo

Pochissime tracce e nessun testimone: questo è il pane quotidiano del commissario Cantagallo. Il poliziotto toscano si muove nelle strade del piccolo paese di Collitondi alla ricerca del colpevole del delitto. La tecnica d’indagine è particolare: è seguita ogni traccia e ogni indizio che, per il commissario, costituiscono le tessere di un “mosaico criminale”. Completato il “mosaico” è risolta l’indagine. Cantagallo analizza i fatti nella sua stanza da lavoro, il vero e proprio laboratorio investigativo del commissariato. A complicargli la vita c’è pure il suo capo, il Questore Fumi Zondadari, detto Zorro dallo stesso Cantagallo. Il Questore lo intontisce di frasi in latino per mascherare la propria incapacità investigativa e per metterlo in difficoltà. Il commissario non gradisce le discussioni, ma non rinuncia alla buona tavola. Abitualmente, insieme ai colleghi Razzo e Bandino, mangia al ristorante “Attanasio”, dove i piatti squisiti e l’accoglienza della proprietaria sono il migliore biglietto da visita della rinomata struttura gastronomica cittadina. La buona cucina paesana, però, non distrae Cantagallo che con la sua esperienza, la sua intelligenza e la sua squadra riesce sempre a venire a capo della vicenda criminale e a completare il “mosaico”.

==Il personaggio==
Il commissario '''Angelo Cantagallo''' della Polizia di Stato, è il protagonista dei romanzi - le "indagini" - e dei racconti - le "inchieste" - pubblicati e in corso di pubblicazione dallo scrittore toscano Fabio Marazzoli.
Angelo Cantagallo è il commissario toscano che indaga sui fatti criminali che accadono a Collitondi, un piccolo paese immaginario, ma non troppo, della Toscana centrale. Il nome Cantagallo è stato scelto dall'autore per rendere omaggio alla terra della sua regione di nascita: la Toscana.
Il commissario Cantagallo è un uomo di mezza età simpatico e intelligente, sposato, con una moglie, Iolanda Macaluso, e un figlio, Luigi. Cantagallo è sempre pronto alla battuta, ama i proverbi paesani e la buona cucina, odia il latino e tutte quelle frasi complicate che sono difficilmente comprensibili alle persone comuni e anche a lui.
Il personaggio di Angelo Cantagallo è immaginario come pure i colleghi che compongono la sua squadra del commissariato di Collitondi, piccolo paese toscano in provincia di Castronuovo.
Le vicende sono caratterizzate dai ragionamenti investigativi con i colleghi della squadra del commissariato di P.S. di Collitondi, in provincia di Castronuovo. I colloqui fra il commissario e i suoi colleghi si svolgono nella "stanza da lavoro" oppure durante le passeggiate "digestive" del dopo pranzo lungo il corso del fiume Marna. Il commissario Cantagallo è anche il protagonista di certi battibecchi investigativi, a colpi di proverbi toscani e frasi latine, con il Questore Fumi Zondadari della Questura di Castronuovo. Il commissario vuole scoprire il colpevole di un delitto a tutti i costi, mentre il Questore fa di tutto per scansare ogni indagine insidiosa. Alla fine della discussione la spunta sempre il commissario Cantagallo che riesce a sbrogliare l'indagine nel giro di pochi giorni e a scoprire il colpevole. Il tutto è contornato dall'ambientazione del piccolo paese toscano di Collitondi incastonato fra le verdi colline del Chianti.

==La vita==
Angelo Cantagallo è nato circa quaranta anni fa a Montecaiano, un paese immaginario in provincia di Firenze, da una famiglia di umili origini che facevano i contadini nella campagne dell'omonimo paese di Montecaiano. Si è diplomato in Ragioneria a Firenze e poi si è laureato in Scienze Politichecon il massimo dei voti e la lode, sempre a Firenze. Ha iniziato la sua carriera poco dopo i trent'anni, ha fatto un apprendistato che lo ha portato a Collitondi come commissario.
Angelo Cantagallo ha l’abitudine quotidiana di “sentire il tempo meteorologico” e di fare una previsione meteo sulle condizioni del tempo, fino ad un massimo delle dodici ore successive. Il tanto che gli basta per coprire le necessità della sua giornata lavorativa in paese e dintorni. Per la previsione osserva il cielo che vede dalla finestra del suo bagno prima di farsi la barba. Sfrutta il fatto che dalla finestra si può osservare quasi tutta la vallata della Val Marna, con una splendida vista dei colli principali della valle: dal Colle Traverso al Colle Vigna vecchia, passando per il Colle Tondo. Da quella finestra si ammira pure gran parte della campagna che è bagnata dal fiume Marna. Fondamentale per la “sua previsione” meteo era lo sguardo all’orizzonte oltre il Colle Traverso e poi la successiva occhiata al cielo, dalla parte opposta, verso e oltre il Colle Vigna vecchia. Da quella parte, spesso nella parte pomeridiana della giornata, possono arrivare nubi minacciose piene d’acqua. Ma soprattutto, è importante che Cantagallo ascolti le previsioni del tempo del tg regionale, la sera prima. A volte trae delle considerazioni meteo pure dalla presenza o meno in volo degli stormi degli uccelli stanziali, che già di mattino presto, si portavano oltre il Colle Tondo. Secondo l’opinione di Angelo, la loro assenza in volo faceva prevedere, quasi senza ombra di dubbio, il probabile e imminente arrivo di nubi temporalesche e della pioggia, da sempre ostacoli fastidiosi per il volo degli uccelli. Quindi, dopo l’osservazione globale e attenta del cielo, Cantagallo elabora la “sua previsione” meteo che serve a fargli inquadrare la giornata, ma anche a fargli scegliere l’abbigliamento più adatto da indossare per quella giornata di lavoro.
Il commissario Cantagallo è un amante della buona tavola e, insieme ai suoi colleghi, pranza al ristorante Attanasio di Collitondi e dopo pranzo fa una passeggiata digestiva lungo gli argini del fiume Marna insieme a Bandino e a Razzo che mangiano sempre con lui a pranzo. Tutti e tre fanno il solito giro lungo la strada pedonale che costeggia il fiume Marna dal ponte Pertini al ponte Berlinguer, in direzione della località Malvoni, per poi rientrare nel centro del paese dove si trova il commissariato. Cantagallo ha un debole anche per certi dolci e per lui sono una vera e propria delizia i bomboloni della “Pasticceria napoletana Pipitone”, nel centro del paese. Al commissario Cantagallo piace passeggiare lungo il fiume Marna e poi fermarsi a sedere su una delle panchine che si trovano lungo l'argine, vicino all'ombra di alcune robinie, per ragionare a proposito della soluzione di un caso particolarmente complicato; è affascinato dalla bellezza della natura e ama contemplare le bellezze naturali della campagna collitondese durante le sue passeggiate.
Complicato è il rapporto di Cantagallo con il Questore Vittorio Fumi Zondadari e con il suo vicario Raffaele Bonadonna.

==Il carattere==
Cantagallo non sopporta gli interrogatori dove devono essere sentite molte persone e in questi casi delega le audizioni alla sua vice Nicoletta; solo successivamente, quando la sua vice ha già fatto la prima scrematura, si decide ad interrogare i singoli testimoni per ascoltare quanto hanno da dire. Cantagallo non sopporta nemmeno il "Palio dei somari" perché è la delizia del Questore Zondadari e questo è un altro elemento che contribuisce a deteriorare i rapporti fra il commissario e il Questore. Cantagallo non sopporta il Questore che cita sempre delle frasi latine e che è sempre impegnato con il “Palio dei somari” della città di Castronuovo. Il commissario Cantagallo ama i proverbi, con particolare interesse per quelli toscani, perché sono il frutto semplice della saggezza antica dei nostri nonni e fanno parte del patrimonio di una cultura popolare che non deve essere dimenticata. Non è assolutamente vero che parla in dialetto. Solo un piccolo accenno di dialetto, ma è nella natura umana di ogni toscano. E’ fermamente convinto che in ogni frase latina sia nascosto il vero significato delle cose, mentre in ogni proverbio si nasconde una piccola verità. Per il commissario, i proverbi sono stati ed sono ancora oggi la saggezza dei popoli. I proverbi fanno parte di un grande patrimonio, formato dal dialetto, dalla mentalità, dalle tradizioni popolari e tante altre cose ancora. In breve, da quella che può essere definita come la cultura popolare. Tale cultura è generalmente tramandata dagli uomini ai propri discendenti e per molti secoli i proverbi sono stati, probabilmente, l’unica scuola per decine di generazioni di nostri antenati. Attraverso di essi si tramandano le usanze, le abitudini, la visione del mondo, si comunicavano le regole della morale e del comportamento nella vita di tutti i giorni. I proverbi, spesso, sono utilizzati, in senso umoristico, per indicare certi caratteri umani e molte volte con il loro utilizzo si sanciscono delle vere e proprie consuetudini di vita sociale che finiscono per diventare costume. I proverbi contengono i consigli più disparati su qualsiasi argomento e per qualsiasi circostanza della vita. I proverbi e certe espressioni verbali permettono di comprendere molti aspetti del carattere e della storia non scritta dei nostri vecchi. Attraverso i proverbi e i modi di dire, si riesce a scoprire il volto più autentico dei nostri antenati. Si può capire meglio, le ragioni di molti nostri modi di essere e della nostra identità di popolo, con comportamenti particolari che ben identificano e che differenziano gli abitanti diversi dei paesi vicini. Per tutte queste ragioni, per il commissario Cantagallo i proverbi sono un patrimonio culturale di tutti e devono essere salvaguardati. La citazione latina, per Cantagallo, appartiene al passato, non appartiene al modo di parlare della gente comune. Manifesta una sorta di distacco con le persone semplici e umili, segna la distanza fra “il dire” e “il fare”. Rappresenta, per certi personaggi incompetenti, l’ultimo baluardo per giustificare un nulla di fatto, per offuscare un fatto evidente, per rendere fumosa una spiegazione che non esiste. Cantagallo, nei sui colloqui con il Questore Zondadari, subito, non capisce mai bene la frase latina che il Questore gli ha detto. Poi, quando è a casa, con l’aiuto di sua moglie e sforzandosi di ricordare la frase, cerca di tradurla per capirne il vero significato. Non può essere diversamente: un commissario che è in grado di tradurre i "messaggi" degli oggetti di un’indagine, può non essere in grado di tradurre le frasi di un Questore? Sull'argomento dell'interpretazione dei "messaggi" degli oggetti ne parliamo più avanti. A volte accomoda alcuni proverbi a suo piacimento per adattarli a certe situazioni, soprattutto quando incontra il Questore Zondadari.

==Situazioni nel commissariato==
La porta dell'ufficio di Cantagallo deve stare sempre aperta, spalancata, altrimenti si sente come soffocare. Tutte le mattine trova tutti gli oggetti della sua scrivania al commissariato spostati e messi sotto-sopra, come se notte tempo si fossero introdotti dei ladri nel suo ufficio. La spiegazione di tutto questo è abbastanza semplice, in quanto le donne delle pulizie della ditta “Velox” di Castronuovo sembra che abbiano ingaggiato con il commissario una sorta di lotta senza quartiere, dove ogni giorno che Dio mette in terra il commissario sistema logicamente tutti gli oggetti della scrivania e poi ogni sera, a notte fonda, le “puliziotte” distrattamente, dicono loro anche se la scusa è dovuta soprattutto alla velocità con cui fanno il loro lavoro, provvedono a scombussolare tutto l’ambaradan del commissario con la scusa di dover pulire accuratamente dalla polvere la scrivania del commissario. Il commissario, quasi tutti i giorni, nel vedere la sua scrivania profanata dalle “puliziotte” o “signore Mastrolindo”, si rassegna a quel destino ingrato e rimette a posto tutti gli oggetti sposati. Altro problema per Cantagallo sono i piccioni la fanno da padrone nella piazza antistante il commissariato, tanto che a volte il commissario è colpito dalle cacche di piccione lanciate, per effetto naturale, dai volatili del luogo; i poliziotti del commissariato hanno sempre invano cercato di allontanare i piccioni dalla piazzetta senza mai però esserci riusciti completamente; anche perché la sezione locale del circolo ambientalista provinciale di Castronuovo chiamato “Circolo per la Protezione del Piccione Italiano”, e soprannominato dai collitondesi come il “Circolo del Pipi”, si oppone senza mezzi termini alle molestie agli uccelli, a dire loro, operate dai poliziotti di Collitondi, minacciando sempre aspre battaglie legali a protezione dell’uccello piccionesco, definito come l’emblema della libera natura della provincia casterese e della città di Castronuovo. Gli ambientalisti sostengono che la specie di piccione scacciata dalla piazza non è nativa di Collitondi, ma bensì di Castronuovo dove ha avuto modo, negli anni, di ingetilirsi e impreziosirsi, prima di giungere a Collitondi dove la mescolanza con altre specie di piccione più volgari ha minacciato la purezza della specie protetta del piccione castrese. Sempre secondo gli ambientalisti, il piccione di Castronuovo deve considerarsi una specie protetta e come tale deve essere anche a Collitondi. Secondo il presidente del "Circolo del Pipi", per tutte le motivazioni scientifiche conosciute della specie del piccione castrese, la città di Castronuovo deve essere considerata anche la “culla della natura“, oltre che la “culla della cultura”.

==Tecnica d'indagine e "mosaico criminale"==
Ogni oggetto, ogni traccia, ogni prova parla con il suo linguaggio al commissario Cantagallo: questo è quello che dice lui. Per Cantagallo ogni bravo investigatore deve riuscire a comprendere il linguaggio di ogni oggetto.Cantagallo cerca sempre di migliorare la propria tecnica di analisi dei fatti criminali. Ogni pezzo del suo “mosaico criminale”, come dice lui, doveva avere la sua collocazione precisa. Tutte le ipotesi dovevano essere suffragate da prove certe e incontrovertibili. “Una supposizione priva d'evidenza, con il Questore Zondadari, ha poca consistenza.”, questo spesso dice il commissario ai suoi colleghi, quando sono nel pieno di un’indagine. A volte Cantgallo entra in “crisi michelangelesca” ed è stato tentato dal chiedere a qualche oggetto: “Perché non parli?”, come fece all’epoca un altro toscano molto più famoso di lui. Sembra strano, ma certe volte anche gli oggetti “parlano” a Cantagallo. Non in modo chiaro e udibile da tutti, certamente. Semmai, ognuno di loro parla con un certo linguaggio particolare che deve essere bene interpretato, per essere compreso nel modo giusto. Ogni oggetto parla una lingua ai più sconosciuta, ma che può benissimo essere compresa da un abile investigatore. Un bravo poliziotto, così, è in grado di fare da “interprete” e può interpretare il significato di quello che un oggetto vuol dire. Sta al commissario e ai suoi uomini capire il linguaggio degli oggetti raccolti durante una indagine, decifrarne il messaggio e scoprire il vero contenuto, che contribuisce alla soluzione di un omicidio. La tecnica d’indagine è particolare: è seguita ogni traccia e ogni indizio che, per Cantagallo, costituiscono le tessere di un “mosaico criminale”. Completato il “mosaico”, l'indagine è risolta. Il commissario analizza i fatti nella sua "stanza da lavoro", il vero e proprio laboratorio investigativo del commissariato. Cantagallo cerca sempre di ricostruire il luogo in cui è avvenuto il delitto e prende in considerazione ogni piccolo dettaglio: visiona anche il filmino girato dai poliziotti della Polizia Scientifica per immedesimarsi meglio nella scena del crimine. Il commissario è molto attento al luogo del crimine e alla scena del delitto nel suo complesso: indossa sempre e fa indossare ai suoi colleghi guanti mono uso per le mani e scarpini in plastica sopra le scarpe, per non contaminare l'ambiente. La sua tecnica d'indagine è particolare e con un colpo di genio finale riesce ad incastrare sempre il colpevole e a farlo confessare.

==Il Questore==
Il Questore, dottor Vittorio Fumi Zondadari, è stato soprannominato Zorro dal commissario Cantagallo perché il Questore ama firmare i provvedimenti con il proprio cognome a grandi lettere, soprattutto la zeta di Zondadari è talmente grande che sembra la famosa zeta dello spadaccino d’altri tempi e che gli ha fatto guadagnare il soprannome di Zorro da parte degli uomini della squadra del commissario. Il Questore cita sempre perfettamente le frasi latine, all’inizio o alla fine di ogni discorso, pur sapendo che fanno imbestialire il commissario che, avendo fatto ragioneria e poi la facoltà di Scienze politiche, non capisce mai bene la frase latina che il Questore gli ha detto. Poi, quando i casi si complicano oppure vanno per le lunghe, approfitta della situazione per mettere in difficoltà il commissario e lo apostrofa in modo sgarbato dandogli di ragioniere. Il Questore lo schernisce, fingendo di dimenticarsi che il commissario oltre ad essere ragioniere è pure laureato con tanto di lode. Zondadari parla sempre un italiano cattedratico e ricercato, sempre infarcito di paroloni, perché è nato nella città di Castronuovo, dove, a suo dire, si parla e si scrive il vero italiano e non quella sorta di dialettaccio strascicato, sgrammaticato e volgare che parla il commissario e tutti gli uomini della sua squadra. La vera passione del Questore è il "Palio dei Somari": lui è il capitano della nobile contrada "Gavone" della città di Castronuovo, dove si corre il Palio.

==Il vice Questore vicario==
Il vice Questore vicario, dottor Raffaele Bonadonna è stato soprannominato dal commissario con il nomignolo di Garçia. Bonadonna sopporta a malapena il Questore Zondadari, proprio come il celebre sergente Garçia impacciato antagonista di Zorro dei racconti dello scrittore Johnston McCulley, da cui il suo soprannome. Bonadonna parlando con il commissario gli dà sempre del lei e lo tiene a distanza. Bonadonna cerca comunque e sempre di imitare il Questore citando maldestramente delle improbabili frasi latine senza mai azzecarne il senso, il significato e dicendole sempre a sproposito.

==La presenza nel mondo editoriale==
La sua prima apparizione è nel libro intitolato "Dentro un vicolo cieco", 2007, Lalli Editore, Poggibonsi (Siena).