lunedì 29 agosto 2011

"Il filo di Arianna" nel libro "Il mosaico del delitto"


Il racconto “Il filo di Arianna” è stato inserito nel libro giallo “Il mosaico del delitto”, che raccoglie oltre a quello altri due racconti sempre del commissario Cantagallo. Un cordiale saluto.

Fabio Marazzoli

giovedì 25 agosto 2011

Pubblicato da ilpiacerediscrivere.it l'ebook del racconto "Il filo di Arianna"


Con grande piacere informo che il racconto giallo inedito "Il filo di Arianna" è stato pubblicato in formato e-book da ilpiacerediscrivere.it . Lo potete scaricare qui . Un sentito ringraziamento alla poetessa Annarita per la sua gentile collaborazione. Buona lettura a tutti. Alla prossima.

mercoledì 3 agosto 2011

ilpiacerediscrivere.it



La gentile Annarita ha inserito proprio ieri il blog nel sito www.ilpiacerediscrivere.it .
Lo potete trovare al seguente indirizzo http://www.ilpiacerediscrivere.it/il-blog-del-commissario-cantagallo/ .
Il sito ilpiacerediscrivere.it è molto bello e suggestivo. Si può proprio definire cone il sito "Per chi ama scrivere ed aspira ad essere letto", come è testualmente definito dalla poetessa Annarita.
Una bella accoppiata il commissario Cantagallo e ilpiacerediscrivere.it non c'è che dire.
E tutto questo grazie anche a twitter.
"Galeotto fu il... network e chi vi scrisse", e che Dante Alighieri mi perdoni.
Ma questa è tutta un'altra storia.
Alla prossima.

FM

domenica 31 luglio 2011

Il filo di Arianna – Dodicesima e ultima parte

Il filo di Arianna - Dodicesima e ultima parte

Nel frattempo i colleghi della squadra di Cantagallo si erano già piazzati nei locali al piano sotto terra delle cantine del condominio. Cantagallo e Baccio arrivarono appena in tempo per prendere posizione, estrarre le pistole e attendere. I locali erano estesi perché le cantine del palazzo erano molte e molti erano gli spazi condominiali. Sembrava di essere in un labirinto. Il buio della sera aiutava i poliziotti che si erano nascosti in certi anfratti scuri dei locali oppure all’interno delle cantine dei condomini che avevano accettato di collaborare con il commissariato. Tutti erano in attesa dell’arrivo del portiere.
Il Mucci non si fece aspettare. Il portiere, con una pila in mano, scese trafelato le scale che dal piano terra, dove c’era la guardiola, portavano nelle cantine e nei locali del sotto strada, dove c’erano i depositi dell’acqua, l’impianto di decalcificazione e altre stanze e stanzine che solo il Mucci doveva conoscere bene. L’ambiente non era ben illuminato e soprattutto di notte non si riuscivano a distinguere bene le porte dei vari locali. Il portiere accese la pila e incominciò a cercare i famosi pezzi di filo rosso lungo il percorso fino al posto in cui aveva nascosto la ragazza. La sua ricerca durò a lungo e ogni tanto controllava l’orologio per vedere quanto tempo mancava a mezzanotte. Nelle cantine c’era il più assoluto silenzio e il commissario sentiva solo i rumori del portiere che era agitato perché non riusciva a trovare il filo rosso. Cantagallo sentiva benissimo cosa diceva perché il Mucci parlava ad alta voce.
“Maledetta ragazzina” - sibilava il Mucci, con cattiveria. – “Dove avrà messo quei pezzi di filo rosso? Ho guardato dappertutto e niente. Faccio prima. Me lo faccio dire da lei e se non me lo dirà avrà quel che si merita”.
Cantagallo sentì il Mucci fare dei passi e dirigersi verso un locale al di là delle cantine. Il Mucci aprì una porta e accese una luce. Il portiere aveva percorso uno stretto corridoio ed era entrato nei locali dei depositi dell’acqua. Allora Cantagallo uscì dalla cantina in cui si era nascosto con Baccio e si guardò intorno per vedere dove fosse entrato il portiere. La luce accesa dal Mucci indicò al commissario dove andare. Il portiere trafficava con uno scaffale arrugginito e con delle vecchie tavole di legno. Lo scaffale e le tavole coprivano alla vista una porta di lamiera sporca che sembrava l’entrata di un altro locale o di un piccolo magazzino. La scaffalatura era polverosa e piena di ragnatele. Sopra c’erano anche dei vecchi palloni d’acciaio fuori uso che dovevano essere stati utilizzati nell’impianto idraulico. Dopo un po’ il Mucci aprì la porta, chiusa a chiave, entrò, accese la luce e accostò la porta. Su una sedia appoggiata al muro, di fronte alla porta, c’era Arianna legata e con la bocca chiusa dallo scotch marrone, come quello usato per chiudere le scatole di cartone. In un angolo dello stanzone c’era un gabinetto di fortuna. Dalla parte opposta, sopra un tavolo, avanzi di roba da mangiare e delle bottiglie d’acqua. Il resto del locale era squallido e sporco. La ragazza, impietrita, era terrorizzata dalla vista dell’uomo.
“Dov’è il filo, ragazzina? Non dire bugie, altrimenti è peggio per te” – sibilava di nuovo lui.
Arianna gli fece cenno con gli occhi e alzò un po’ la gamba destra per indicargli di guardare nella tasca dei pantaloni.
Il Mucci si fiondò su di lei e andò a colpo sicuro per prendere il rocchetto di filo rosso. Infilò la mano dentro la tasca, prese il rocchetto, strinse la mano e la tirò fuori. Si era impossessato della prova che lo avrebbe incolpato. Poi aprì la mano e trovò un’amara sorpresa.
“Ma questo che cos’è?” – esclamò lui, guardando il rocchetto di filo da imbastire. – “Doveva essere del filo rosso e non del filo bianco.” – La vista di quel filo sbagliato lo aveva fatto infuriare e incominciò a urlare. – “Tira fuori il filo rosso, ragazzina o ti faccio fare la stessa fine che ho fatto fare a quella ingrata di Franca che non voleva il mio amore! Presto! Tiralo fuori o ti ammazzo con le mie stesse mani!”.
A quel punto Cantagallo decise di intervenire. Spalancò la porta e spianò la pistola all’altezza della testa del Mucci. Baccio copriva da dietro il commissario, anche lui con la pistola spianata.
“Mucci, è tutto finito” – intimò Cantagallo, a muso duro. – “Si giri piano. Tenga le mani in alto e bene in vista. Se prova a fare il furbo, il collega le spara e le fa un buco nelle mani che se lo ricorda per un pezzo. Così non potrà nemmeno più leggere la Divina Commedia”.
Il portiere si voltò, era incredulo e non riusciva a capire il perché di quel discorso della Divina Commedia. Poi, il commissario e i poliziotti non dovevano nemmeno essere lì e a quell’ora.
Intanto erano arrivati gli altri colleghi che liberavano Arianna dalle corde e dallo scotch.
“Come ha fatto a scoprire della Divina Commedia?” – sibilò il Mucci.
“Ha fatto degli errori, Mucci. Si è fatto vedere troppo interessato alla lettura di quel libro. Ha insospettito i miei uomini che si erano spacciati per elettricisti dell’Enel e che erano lì per controllare la zona. I miei uomini mi hanno riferito il suo strano comportamento di leggere sempre lo stesso libro e di sottolinearlo, e questo mi ha insospettito. Un portiere di condominio, mi sono chiesto, perché deve leggere e sottolineare la Divina Commedia proprio nel canto dell’Inferno dove si parla dell’amore che non permette a chi è amato di non riamare?”.
“Amavo Franca, la desideravo, ma lei non ne voleva sapere del mio amore e così l’ho uccisa. La passione per quel canto dell’Inferno mi ha tradito”.
“Questo è stato uno dei suoi errori che ci ha aiutato a incastrarla. Non ero sicuro al cento per cento, ma è caduto nella trappola che le abbiamo teso. Arianna, invece, non ha fatto errori. Anzi, si è ricordata di quello che aveva studiato a scuola e ci ha lasciato delle tracce per ritrovarla”.
“Proprio così, commissario” – era Arianna che parlava con la sua voce squillante e felice. – “Mia nonna Piera, appassionata di mitologia greca, fin da piccola mi ha sempre ripetuto la storia di Arianna e Teseo, con la scusa che la mia mamma mi aveva chiamato con quel bel nome. Quando il portiere non vedeva, ne ho approfittato e ho arrotolato i pezzi di filo da imbastire per farmi ritrovare. Non ce l’ho fatta a lasciarlo nelle cantine perché era buio”.
Poi il commissario continuava a parlare al Mucci.
“Proprio così. Non ha nemmeno visto il filo di Arianna. Un filo da imbastire che si può spezzare facilmente con una mano e non come quest’altro filo rosso per cucire, che le ho fatto vedere in commissariato come falsa traccia che si non spezza facilmente. Come ha visto, non c’era altro filo arrotolato nelle cantine e in altri locali. C’è cascato e ci ha portato dove aveva nascosto la ragazza. Come vede, alla fine ha collaborato con la Polizia per ritrovare Arianna. Era proprio quello che voleva fare fin dall’inizio di questa indagine”.
Arianna accompagnata dalla vice uscì da quello stanzone.
Il Mucci seguì con lo sguardo l’uscita della ragazza e capì che era tutto finito. Lanciò un grido.
“NOOO! Non lasciatela andare!”.
Cantagallo si ricordava qualcos’altro di quel canto dell’Inferno e disse al Mucci.
“Lo saprà a memoria quel canto, vero Mucci? Allora, ascolti. Non impedir lo suo fatale andare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole…”.
Il Mucci era disperato e lo interruppe di nuovo.
“Maledetto! Maledetto! Avevo pensato a tutto, ma come ha fatto?”.
“…e più non dimandare” - concluse Cantagallo e fece segno ai suoi di portarlo via.
Il commissario guardò l’orologio, non era troppo tardi.  Decise di fare una telefonata.
“Questore, buonasera. Scusi se la disturbo, ma si tratta della ragazza rapita”.
“Buonasera, Cantagallo. Vivaddio, ma le sembra questo il momento! La sua telefonata è un po’ inopportuna perché mi trovo al culmine della cena del ringraziamento. Ad ogni buon conto, dica pure, se si tratta di una cosa urgente”.
“Abbiamo liberato la ragazza rapita e arrestato il colpevole dell’omicidio della domestica. L’uomo è il portiere del condominio, Mucci Patrizio. Aveva rapito e nascosto la ragazza dopo aver ucciso la domestica. Il Mucci si era invaghito della donna, ma lei lo aveva rifiutato…”.
“Caro Cantagallo, lo vede che tutto torna. Lo vede che avevo ragione io. Vivaddio, d’altronde la soluzione del caso, a lei, l’avevo già fornita io stesso nel nostro incontro precedente. Come ha avuto modo di vedere, la mia ipotesi dell’omicidio maturato nell’ambiente della Tratta delle bianche era corretta. Quell’uomo voleva portarsi a letto la domestica e poi ha rapito la ragazza per soddisfare le sue voglie incontenibili. Allora…”.
“Scusi, Questore, ma che c’entra questa faccenda della Tratta delle bianche?”.
“Vivaddio, come che c’entra?! C’entra eccome, Cantagallo! Questo fatto basta e…” – la voce del Questore si sentiva poco e Cantagallo pensava che fosse di nuovo un problema di segnale con il suo telefonino.
“Questore, la sento poco. Forse c’è poco segnale, c’è poco campo…”.
“Campo?! Ma di che accidente di campo parla, Cantagallo! Un bel campo da arare ci vorrebbe a lei e a tutti quelli del suo commissariato. Spalle rubate all’agricoltura! Ecco cosa sono i suoi poliziotti”.
“Questore, non le permetto di…”.
“CANTAGALLO! Io mi permetto tutto quello che mi pare e non mi interrompa con i suoi modi campagnoli d’interloquire! Questo era un caso difficile in cui occorreva una mente investigativa a trecentosessanta gradi, un segugio del crimine, in parole povere, uno Sherlock Holmes di periferia. Invece, mi ritrovo lei, in parole povere, un Watson di campagna. Come vede, Cantagallo, ha fatto bene a venire da me. Ora la devo salutare...”.
Cantagallo non riuscì a stare zitto e replicò a modo suo al Questore.
Bel colpo non ammazzò mai uccello. Buonanotte, Questore.” – fece stizzito Cantagallo e chiuse la telefonata.
“Bel colpo… che fece? CANTAGALLOOO?” – cercò di capire il Questore. – “Buonanotte!”.
Il commissario si congedò con il suo immancabile proverbio di fine colloquio. Il Questore non capiva mai il senso dei proverbi, come lui non capiva mai il significato delle frasi in latino.
Intanto Arianna era salita nella casa della nonna dove la stavano aspettando per abbracciarla i suoi genitori, la nonna e il suo ragazzo. Si fece una doccia e si mise degli abiti puliti per tornare a casa. Quando tutti furono fuori per strada, Stefano baciò Arianna e l’abbracciò di nuovo. Le fece segno di avvicinarsi perché le voleva farle vedere una cosa. Poi prese un pacchetto e lo dette alla ragazza. Arianna era sorpresa. Prese il pacchetto, lo guardò e lo scartò in silenzio. Dentro c’era un piccolo astuccio e lo aprì piano, piano. Non credeva ai suoi occhi.
Nell’astuccio c’era il braccialetto che aveva desiderato due giorni prima. La sua gioia era incontenibile. Guardò di nuovo Stefano negli occhi e lo baciò.
Poi Arianna si voltò, guardò per un attimo i suoi genitori e sorrise. Prese per mano Stefano e si avviò con lui lungo la strada che portava in paese.

Il filo di Arianna – Undicesima parte

Il filo di Arianna - Undicesima parte

Cantagallo aveva finito di descrivere il piano per incastrare il Mucci e comunicava gli ultimi dettagli.
“La nonna e i genitori della ragazza devono essere avvertiti solo quando l’operazione sarà conclusa e avremo la certezza che Arianna sia viva e sta bene. Fate ognuno quello che vi ho detto e mi raccomando, muovetevi con la massima cautela.” – Poi si rivolse a Baccio. – “Baccio, convoca immediatamente il Mucci dicendogli che si è dimenticato di firmare il verbale della sua deposizione. Se il Mucci tentenna, digli che è urgente. Inventagli una scusa per farlo venire subito qui, così i colleghi possono entrare nel palazzo indisturbati. Quando arriva in commissariato, accompagnalo da me e dopo avverti un collega per fargli firmare il verbale e altri documenti. Devi dire al collega che lo trattenga per circa un quarto d’ora. Giusto il tempo per consentire a noi di prendere posizione nel condominio”- e di nuovo agli altri. - “Voi prendete posizione. Io intanto faccio un salto in merceria e torno subito”.
Cantagallo dopo poco era di ritorno con un pacchettino in mano. Ritornò nel suo ufficio e attese l’arrivo del portiere. Dopo un po’ suonarono al portone e poi arrivò il Mucci accompagnato da Baccio.
Cantagallo era pronto per recitare la sua parte di quella sceneggiata.
“Buonasera, signor Mucci. Prego, si accomodi. Scusi se l’ho fatta chiamare a quest’ora, ma abbiamo avuto da fare fino ad ora”.
“Buonasera, signor commissario” – disse il Mucci che non voleva far vedere che era scocciato per quella convocazione. – “No, ci mancherebbe altro. Non c’è nessun problema. L’agente mi ha detto che mi avete chiamato per la deposizione dell’altro giorno che non ho firmato”.
“Sì, proprio per quello” – confermava asciutto Cantagallo. – “Siamo vicini a prendere il colpevole e dobbiamo chiudere certe pratiche burocratiche” – e concludeva  in modo evasivo.
Il portiere, improvvisamente, si fece molto attento e non era più scocciato da quella convocazione.
“Mi dica, mi dica, commissario. Siete a buon punto con le indagini? Il colpevole chi è?”.
“Piano, piano, signor Mucci. Ho detto che siamo vicini, ma non sappiamo chi è. Sappiamo solo che la nipote ha lasciato in giro una traccia sulla strada che ha fatto con il suo rapitore per farci capire dove si trova nascosta”.
Il portiere cambiò espressione in volto, ma rimase tranquillo.
“Che ragazza in gamba quell’Arianna. Ma come ha fatto?”.
Cantagallo mise sul tavolo le piccole bustine di plastica trasparente in cui aveva messo le tracce false, ovvero i pezzi di filo rosso che aveva staccato dal rocchetto appena comprato.
“Arianna, non vista, ha preso il filo fra quelli che usava la nonna per cucire i vestiti e ha lasciato questi pezzi di filo dappertutto nel condominio. Stanotte, dopo mezzanotte” – Cantagallo fingeva anche sull’ora – “perlustreremo tutto il palazzo prima di domani, dal primo all’ultimo piano. La ragazza deve essere nascosta in qualche appartamento”.
Il portiere si era calmato e propose di dare il suo aiuto. Lui sapeva che per mezzanotte avrebbe già concluso quello che aveva in mente di fare con quella ragazza scomoda.
“Del filo rosso? Ha avuto proprio un’idea strana quella ragazzina” – diceva il Mucci in modo interessato.
“Questo fatto” – continuava Cantagallo – “ce l’ha confermato indirettamente la signora Piera dicendo che le era sparito un rocchetto di filo rosso”.
“Se vuole, signor commissario, stanotte posso controllare l’entrata del condominio dalla mia guardiola. Le sembra una buona idea?”.
“Magnifica, signor Mucci. Non volevo chiederle niente, per non coinvolgerla, ma se lei ci tiene tanto a darci una mano, sono ben contento di accettarla. A mezzanotte entri nella guardiola e rimanga lì fino a quando glielo diremo noi. Ora vada. Il mio collega l’accompagna in un altro ufficio per farle firmare un po’ di carte. Quando ha finito può andare, che è quasi ora di cena. Grazie”.
“Prego. Allora, commissario” – disse il Mucci. – “Ci vediamo stanotte”.
“Sì, Mucci” – rispose Cantagallo, con un tono più serio. - “Ci vediamo stanotte”.
Il portiere avvertì qualcosa di diverso nello sguardo del commissario, ma non gli dette troppo peso. Il Mucci sapeva che, dopo aver firmato i documenti al commissariato, doveva andare subito nel posto in cui aveva nascosto Arianna e decidere cosa farne. Aveva tutto il tempo che voleva, fino a mezzanotte. Poteva cercare con calma anche le altre eventuali tracce di filo rosso lasciate da Arianna. Era tranquillo perché i poliziotti avrebbero cercato la ragazza negli appartamenti del condominio e non sarebbero andati a cercarla da altre parti. Era sicuro di questo perché glielo aveva appena detto il commissario.
Ma le cose stavano proprio così come aveva detto Cantagallo?

Il filo di Arianna – Decima parte


Il filo di Arianna - Decima parte

La porzione abbondante di strozzapreti obbligò Cantagallo, Razzo e Bandino alla solita passeggiata digestiva del dopo pranzo lungo la pedonale del fiume Marna. Il commissario rifletteva insieme ai due colleghi su quelle frasi sottolineate nel libro.
“Perché un tipo insignificante come il Mucci legge sempre la Divina Commedia?”.
“Sembra più un tipo da giornaletti pornografici” – rispose Bandino.
“Giusto. È lì che volevo arrivare” – disse Cantagallo.
“Quel Mucci non mi è piaciuto appena l’ho visto. Non mi sembra un uomo di cultura” – ribadì Razzo, scuotendo la testa. –“Poi, chissà perché ha sottolineato la frase che dice che qualcuno scende da qualche parte in un luogo più piccolo…”.
Cantagallo, a sentire le parole di Razzo, si fermò un attimo, pensò a qualcosa e poi riprese a camminare più veloce.
“Ci siamo!” – disse Cantagallo agli altri due. –“Accelerate il passo. Abbiamo il nostro uomo”.
“In che senso, commissario?” – chiese Bandino.
“Vi dirò tutto in riunione. Sbrighiamoci” – e allungò il passo verso il commissariato.
Alle tre la stanza da lavoro era pronta e i colleghi della squadra erano già arrivati.
Stavolta nel pannello di destra il commissario aveva affisso la stampa delle pagine sottolineate della Divina Commedia. C’era anche un foglio bianco con scritto a pennarello un nome e un cognome seguiti da un punto interrogativo.



PATRIZIO MUCCI?



Il commissario prese la parola.
“Ho scritto su quel foglio il nome di Patrizio Mucci perché secondo me è la persona che cerchiamo e il motivo della mia scelta lo saprete alla fine del mio ragionamento. A costo di essere noioso vi ricordo il mio pensiero che è anche lo spirito con cui cerco di condurre le indagini di questo commissariato. Io rincorro un’illusione: analizzare scientificamente la scena del crimine per scoprire il colpevole. Voglio osservare e capire ogni singolo indizio raccolto nell’indagine per comporre il mosaico criminale e prendere il responsabile del delitto. Questo con la collaborazione di tutti voi. Nessuno escluso”.
Il commissario cercava sempre di migliorare la propria tecnica d’analisi dei fatti criminali e dava sempre indicazioni ai suoi uomini perché adottassero tale metodo. Il suo non era probabilmente un metodo infallibile, ma gli aveva sempre permesso di assicurare alla Giustizia molti delinquenti. Cantagallo inquadrava ogni crimine in quello che amava definire come il “mosaico criminale”. Ogni indizio era come il singolo pezzo di un mosaico che doveva essere composto per scoprire il colpevole. Ogni pezzo del “mosaico criminale” doveva avere la sua precisa collocazione. Un singolo pezzo poteva essere anche un’ipotesi investigativa, ma come ogni ipotesi doveva essere suffragata da una prova certa e incontrovertibile. Prima la teoria universitaria con la laurea in Scienze Politiche e poi la sua precedente esperienza di poliziotto gli avevano fatto maturare l’idea del “mosaico criminale”. Per raffigurare questo concetto, dietro la scrivania, aveva attaccato al muro la stampa della riproduzione del mosaico della “Battaglia di Isso”. Per gli storici del tempo, quel mosaico rappresentava l’intelligente vittoria di Alessandro Magno sul re persiano Dario. Dario volle affidare la sua vittoria solo al gran numero di uomini, ma fu sconfitto: la forza numerica si trasformò in una debolezza operativa. Alessandro aveva una forza numerica molto inferiore, ma più agile e vinse con un minor numero di uomini. Questo era un altro concetto che piaceva a Cantagallo che si era dotato di un “esercito” di nove poliziotti per scoprire i criminali. Nel corso delle riunioni il commissario ripeteva ai colleghi lo stesso concetto fondamentale che ogni indizio, anche quello più insignificante, poteva essere importante nell’indagine. Qualsiasi indizio non doveva mai essere sottovalutato. Ogni indizio era il singolo pezzo di un grande e complesso mosaico. Preso da solo non faceva capire di quale mosaico si trattasse, quando però era insieme con gli altri pezzi, aiutava il mosaico a prendere forma e la verità si spalancava davanti agli occhi, chiara e intelligibile. Per Cantagallo erano proprio gli indizi e gli oggetti trovati sul luogo del delitto che “parlavano” di quel crimine. Sembrava strano, ma certe volte gli oggetti “parlavano” a Cantagallo. Non in modo chiaro e udibile da tutti, semmai, ognuno di loro parlava a Cantagallo con un linguaggio particolare che doveva essere bene interpretato, per essere compreso nel modo giusto. Ogni oggetto parlava una lingua ai più sconosciuta, ma che poteva essere compresa da un attento investigatore. Un bravo poliziotto era in grado di fare da “interprete” e interpretare il significato di quello che ogni oggetto voleva dire. Stava al poliziotto capire il linguaggio degli indizi trovati durante ogni indagine, decifrarne il messaggio e scoprirne il vero contenuto, che avrebbe contribuito alla soluzione del caso poliziesco. Spettava agli investigatori raccogliere tutti i pezzi del mosaico per fare emergere la verità e arrestare il colpevole.

Cantagallo fece una pausa e poi continuò il discorso.
“Ho pensato a lungo alle frasi sottolineate dal Mucci e mi è venuta in mente un’idea. Pensavo questo. Abbiamo le tracce di un filo da imbastire lasciato dalla nipote lungo un percorso che va dalla casa della nonna Piera all’ascensore del palazzo e le frasi sottolineate dal Mucci del quinto canto dell’Inferno della Divina Commedia dove si parla di un amore che deve essere corrisposto e di un luogo piccolo che si trova scendendo di un piano. Nero e Manno, durante il loro controllo, non hanno detto di aver notato grande movimento nel palazzo. I casi sono due: la nipote è stata trasportata dall’assassino fuori dal palazzo oppure…” – e fece di nuovo una pausa – “…è sempre dentro il palazzo rinchiusa in un luogo piccolo che si trova scendendo le scale!”.
I colleghi ascoltavano in silenzio il commissario e cercavano di comprendere le nuove informazioni che Cantagallo diceva durante il suo ragionamento.
Antica volle dire la sua opinione.
“Commissario, sono d’accordo con lei. Mi sono documentata meglio su quel canto e le confermo quello che lei ha appena detto. Inoltre in quel canto è protagonista pure Minosse, il padre dell’Arianna della mitologia greca, che giudica le anime e stabilisce le pene da infliggere. In quel canto si parla di amore, di dolore, di luogo dove c’è poco spazio e di morte”.
Cantagallo, visibilmente soddisfatto, continuava.
“Brava, Antica. Avete sentito? Si parla di cose che sono tutte presenti nel nostro mosaico criminale: l’amore del Mucci verso una donna che però non lo ama, il dolore di lui per questa sofferenza che lo spinge a sottolineare certi versi della Divina Commedia e l’assassinio passionale di una donna”.
“E questo posto piccolo dove caspita sarebbe?” – chiese la vice. 
“Le rispondo con un’altra domanda”- fece Cantagallo, sorridendo - “perché so già che lei saprà darsi da sola la risposta alla domanda che mi ha appena fatto. Se dal piano terreno del palazzo si scende di un piano, dove ci troviamo?”.
“Nelle cantine del palazzo!” – rispose la vice. – “Ma è giusto, commissario!”.
“Appunto” – continuò Cantagallo – “è proprio lì che il Mucci ha portato Arianna per tenerla nascosta. Aveva visto troppo, ma non se l’è sentita di ucciderla. Per me, il Mucci desiderava morbosamente Franca e non le aveva mai confidato il suo amore. Franca era la domestica della signora Piera da alcuni mesi e il Mucci aveva deciso di farsi avanti con Franca solo il giorno in cui poi l’ha uccisa. Il Mucci ha visto che la signora Piera era uscita e con una scusa di qualche lavoretto da fare in casa, è salito, si è fatto aprire. Sono andati in cucina e lui ha dichiarato il suo amore alla donna.  Franca però ha rifiutato l’amore del Mucci e lui d’impeto, come ha descritto il dottor Baglioni, ha preso un coltello in cucina e l’ha uccisa. Deve essere successo tutto velocemente e, per me, il portiere non deve avere premeditato l’omicidio. Il Mucci era confuso dall’eccitazione del momento e non si era nemmeno accorto della presenza di Arianna in salotto. Quando Arianna, nel sentire la confusione, è accorsa in cucina il Mucci non ce l’ha fatta ad ucciderla. Arianna non gli ha fatto niente, ma è un testimone scomodo e lui decide di nasconderla in un locale delle cantine del condominio. Arianna con una scusa convince l’uomo che deve prendere qualcosa in salotto, forse il giubbotto per coprirsi dal freddo, e ne approfitta per prendere il rocchetto del filo da imbastire. Un pezzo lo arrotola a una gamba della sedia, prende il giubbotto e va con il Mucci. Il portiere, forse, si ferma sulla porta di casa per controllare che non ci sia nessuno e di nuovo Arianna ne approfitta per staccare un altro pezzo di filo e arrotolarlo al pomello della porta. Escono da casa, e il Mucci decide di andare in cantina con l’ascensore per non essere visto e qui Arianna arrotola l’ultimo pezzo di filo alla vite dell’ascensore. Quella ragazza ci ha indicato la strada e noi dobbiamo seguirla. Dobbiamo muoverci con molta attenzione per incastrare il Mucci stanotte e liberare la ragazza. L’ipotesi della cantina come luogo dove è rinchiusa la ragazza è plausibile, ma non è sicuro al cento per cento. Se il Mucci fa il duro e non abbiamo prove certe della sua colpevolezza, lo possiamo tenere in stato di fermo solo per ventiquattro ore. Se non confessa e non dice dove ha nascosto la ragazza, Arianna non la ritroviamo più e la ragazza può essere in pericolo di vita. Bisogna fare uscire allo scoperto il Mucci e ora vi spiegherò come. Ascoltatemi attentamente”.

Il filo di Arianna – Nona parte

Il filo di Arianna - Nona parte

Cantagallo voleva capire subito perché un portiere di condominio fosse interessato alla lettura della Divina Commedia e voleva vederci chiaro. La cosa non gli quadrava e disse ai suoi colleghi “elettricisti” di rientrare al commissariato per vedere quello che avevano fotografato.
I due poliziotti in tuta blu salutarono il portiere e lasciarono il palazzo. Poco dopo erano già nell’ufficio di Cantagallo per guardare al computer le foto scattate alle pagine del libro. Il commissario aveva chiamato nel suo ufficio anche gli altri colleghi della squadra e aveva voluto che fosse Antica a vedere per prima le frasi sottolineate. L’immagine si formava piano, piano, sul video del computer che non era proprio il massimo della velocità.
Antica, ironica, commentava la lenta prestazione del computer.
“Certo, se ci fosse stata la foto di un delinquente…  ci sarebbe già scappato!”.
“Non ti lamentare, Antica” – fece subito, Cantagallo. – “Il tuo pc va più veloce?!”.
“Appunto!” – ribatteva lei. - “Abbiamo dei computer che vanno a due! Prima o poi a Castronuovo si dovranno convincere a darci dei mezzi informatici più potenti”.
“Non facciamo polemica” – ripeteva il commissario. – “Guardiamo piuttosto di che si tratta”.
Intanto l’immagine si era formata completamente e si poteva distinguere bene di cosa si trattasse. Antica ci pensò un po’ e poi disse sicura.
“È l’Inferno, il quinto canto.  All’inizio ha sottolineato di rosso la frase: «Così discesi del cerchio primaio giù nel secondo, che men loco cinghia e tanto più dolor, che punge a guaio». Poi c’è un’altra foto, non appena me la fa vedere” – e attese un po’ prima di vedere la nuova foto. – “Ecco, qui c’è un’altra frase sottolineata: «Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona». Questo è quello che riesco a vedere meglio. Le annotazioni in lapis si vedono male”.
“E allora, Antica?” – diceva stupefatto il commissario. – “È tutto qui quello che puoi dire?”.
“Per ora questo, commissario. Quelle frasi mi dicono poco. Mi documenterò meglio sull’argomento e spero di dirle qualcosa di più nel pomeriggio”.
“Va bene, Antica, grazie. Cercherò anch’io di attingere ai miei ricordi di scuola delle superiori” – e poi rivolgendosi agli altri. - “Alle tre riunione di lavoro. Facciamo il punto e guardiamo di trovare questa benedetta pista investigativa”.
Mentre parlava ai colleghi, dalla finestra aperta, alle sue spalle, penetrava un odore intenso di mangiare: di peperoni per la precisione. Cantagallo guardò il suo orologio: mancava poco a mezzogiorno e mezzo.  Poi, guardò Baccio come se dovesse dargli una spiegazione di quell’odore.
“Commissario, perché mi guarda?” – disse Baccio che immaginava il motivo di quell’occhiata. –“Non indovino mica sempre tutti gli odori che si sentono dalla sua finestra”.
“In genere, sì e sai anche dire se è in arrivo la signora Faraoni con tanto di vassoio fumante” – replicò subito il commissario.
Baccio si avvicinò alla finestra per odorare meglio.
“In effetti, l’ora è quella giusta della signora Faraoni, ma quest’odore di peperoni, se non sbaglio, non lo collego a nessun piatto che conosco, però è un buon odore”.
I colleghi uscirono dall’ufficio e Cantagallo continuò ad osservare quelle fotografie. Cercava di capire perché quelle frasi erano state sottolineate in rosso. Dai suoi lontani studi alle superiori si ricordava, o perlomeno, che la frase «Amor, che a nullo amato amar perdona» volesse dire che l’amore non perdonava. L’amore non permetteva a nessuno che era amato di non riamare: chi era amato doveva riamare. Si ricordava che questa era una specie di sentenza universale in cui l’amore si affermava come amore fatale e all’amore si doveva rispondere con l’amore. Era sicuro di questa affermazione, ma gli venne un dubbio: se l’amore di un uomo non era corrisposto che poteva accadere? E poi un altro: se la donna amata non riamava che succedeva?
Un rumore familiare di passi veloci nel corridoio del commissariato lo riportò alla realtà. Bussarono alla porta e l’odore già sentito prima si fece più intenso: era la signora Faraoni.
“Commissario, buongiorno” – disse la signora, sorridendo, con un gran vassoio coperto in mano –“Stavolta ho preparato un primo diverso, ma gustoso. L’ho assaggiato la settimana scorsa, ma è la prima volta che lo faccio io”.
“Signora, buongiorno. Ma non si doveva disturbare. Lei ci vizia” – accennava Cantagallo.
“Ma quale disturbo, commissario. È un piacere! Sono strozzapreti ai peperoni e uva. È un piatto autunnale insolito, ma saporito. È speciale e ce n’è per tutti. Ora scappo. Buon appetito!”.
“Grazie, signora” – la salutò e compose al telefono il numero di Baccio. -“Baccio? Sono io. Avverti gli altri che il pranzo è offerto dalla signora Faraoni”.
“Già fatto, commissario. I colleghi hanno sentito l’arrivo della signora Faraoni e hanno già apparecchiato il solito tavolo. Aspettano solo noi”.

lunedì 4 luglio 2011

Il filo di Arianna – dalla Terza parte alla Ottava parte

Il filo di Arianna - dalla Terza parte alla Ottava parte



Il filo di Arianna - Terza parte


La mattina dopo Cantagallo era arrivato prima del solito al commissariato. Aveva lasciato detto a Baccio che non voleva essere disturbato. Doveva leggere con calma il rapporto fatto dalla vice su quell’indagine. Aveva detto anche a quelli della Scientifica di lasciargli i reperti trovati con le rispettive foto ingrandite. Gli “scientifici” avevano trovato poco o nulla e niente arma del delitto. Il quadro desolante di quell’inizio d’indagine era completato dall’assenza di testimoni. Le ricerche sull’uomo del gas non avevano dato alcun risultato: fedina penale immacolata. Cantagallo non poteva nemmeno dire di aver trovato il… Giolli!

Iniziò a leggere il rapporto della vice. La donna uccisa si chiamava Franca Giachi, nubile, quarantadue anni, residente a Collitondi. Viveva sola, non era sposata, nemmeno fidanzata e nessun precedente penale. I suoi genitori si erano separati molti anni prima quando aveva sedici anni e dopo che era diventata maggiorenne non li aveva più rivisti. Lavorava da alcuni mesi come domestica dalla signora Piera Giubbolini, settantacinque anni, e nonna materna di Arianna, la ragazza sparita. La signora era rimasta vedova da alcuni anni per la morte naturale del marito Enrico Fontani, geometra ed ex amministratore di condomini di Collitondi. Da allora aveva ripreso a fare il suo vecchio lavoro di sarta in casa. In casa, al momento dell’omicidio della Giachi, c’era la nipote Arianna Pasqualetti di sedici anni, figlia unica di Giovanni Pasqualetti e di Lidia Fontani. La nipote, studentessa in gamba del secondo anno di ragioneria dell’Istituto Saracini Rondinella di Collitondi, era una brava ragazza, carina e sveglia, fidanzata con un suo compagno di scuola, Stefano Conticelli, che faceva il quarto anno dello stesso istituto, carino e sveglio anche lui. A sentire la nonna, i due erano una gran bella coppia. Arianna si trovava nella casa della nonna per fare i compiti. La nonna era uscita per andare a comprare la fodera per un vestito e aveva lasciato in casa la nipote insieme alla domestica. Sempre nel rapporto, c’era scritto che il portiere del condominio, Patrizio Mucci, si era dimostrato gentile e disponibile con la Polizia, ma non aveva potuto essere d’aiuto perché al momento del fatto era nei locali dell’ultimo piano del palazzo per controllare l’ascensore che ogni tanto si fermava. Poi Cantagallo prese in mano i reperti, le foto e notò qualcosa d’interessante. Sul momento non sapeva spiegare perché, ma aveva capito subito che qualcosa non quadrava. Si soffermò su due fotografie ingrandite che avevano in comune uno stesso oggetto. Una foto di un lungo filo bianco di cotone arrotolato a una gamba di una sedia del salotto e un’altra con un altro lungo filo dello stesso tipo arrotolato a un pomello interno della porta di casa.

-La nonna era una sarta- pensava in quell’istante Cantagallo. - Ma cosa ci faceva tutto quel filo bianco arrotolato a quel modo in due punti della casa?-.

Si era fatta l’ora di pranzo e Cantagallo era già al portone ad aspettare Razzo e Bandino. Dopo poco arrivarono i due un po’ trafelati e si scusarono. Nello stesso momento si affacciò Baccio dalla guardiola.

“Commissario, un’ora fa l’ha chiamata il vicario. Non l’ho disturbata, come mi aveva detto lei. Il vicario mi ha detto di dirle che è stato convocato dal Questore per le due di oggi pomeriggio”.

“Grazie, Baccio. Mi sembrava strano che non mi avesse ancora chiamato nessuno dalla Questura” – disse Cantagallo a malincuore. Poi si rivolse ai suoi colleghi. – “Andiamo, sennò faccio tardi”.

I tre a passo svelto s’incamminarono verso Attanasio e Cantagallo ne approfittò per riferire ai due i fatti conosciuti di quello strano delitto con il rapimento della ragazza.

Arrivarono al ristorante, entrarono e si diressero nella piccola saletta interna riservata ai poliziotti del commissariato. La signora Romina, con il suo sorriso smagliante, era già a preparare il tavolo. Si accorse del loro arrivo e si voltò.

“Buongiorno!” – disse la signora.

“Buongiorno, signora”- rispose Cantagallo. – “Oggi andiamo di fretta, tanto per cambiare”.

“Non si preoccupi, commissario. Vado a vedere a che punto sono le vostre ordinazioni”.

Intanto i tre si erano già messi a sedere al loro tavolo.

“Che ne pensate di quel filo di cotone?” – chiese poi ai due colleghi.

Razzo allargò la bocca in un grande sorriso e fu il primo a parlare.

“Io penso che prima è meglio pensare ad altri fili, più lunghi, più saporiti e che non sono di cotone, ma di pasta fatta in casa. Poi si ragiona! Dico bene, Bandino?”.

“Dici bene, Razzo!” – rispose Bandino che impugnò la forchetta e s’annodò al collo il tovagliolo.

“Che fai, Bandino?” – esclamò Cantagallo. – “Mi sembri pronto per la sfida all’OK Corral!”.

“No, commissario. Sono pronto per i pici sulla nana!”.

In quel preciso istante arrivarono tre grandi vassoi fumanti di pici fatti in casa con il sugo di anatra e verdure. La sottile sfoglia gialla di quella pasta fatta ancora come una volta si mescolava nelle fragranze di un sugo di anatra che non temeva confronti. Inoltre delle piccole palline di carne, fumanti e gocciolanti di sugo, spiccavano in ogni piatto.

“Bandino, hai visto che bei pezzi di carne ci sono dentro?” – disse Razzo, sorridendo.

“Ho visto, Razzo!” – e poi, ricordandosi la vecchia battuta che prendeva in giro una pubblicità di qualche tempo fa sui cibi per cani, gli fece. – “O mi sento male…”.

“…o divento CAMPIONE!” – concluse Razzo e ingurgitò la prima polpettina saporita.



Il filo di Arianna - Quarta parte

Cantagallo era arrivato in Questura con buon anticipo. A quell’ora negli uffici non c’era nessuno e i suoi passi rimbombavano nel lungo e ampio corridoio che conduceva all’ufficio del Questore.

-Strano- pensava dubbioso Cantagallo -che Garçia non abbia detto di passare prima da lui. In genere…-.

Non aveva finito di pensare che sentì alla sua sinistra una voce sgradevole che lo chiamava dalla porta spalancata di un ufficio che ben conosceva.

“Commissario Cantagallo?! È lei? Si avvicini, si avvicini, che le devo dire una cosa veloce”.

-Eccoci- pensava di nuovo Cantagallo -come volevasi dimostrare!-.

“Vicario Bonadonna, buonasera” – disse Cantagallo, rimanendo sulla soglia.

“Buonasera, egregio commissario Cantagallo. Rimanga pure lì, non occorre che entri. Le rubo solo un minutino. La stavo aspettando con ansia. Il signor Questore, dottor Fumi Zondadari, mi ha detto che ha già risolto il caso, perciò deve essere subito sgombrato il campo da incertezze e da indecisioni. Il basista è l’uomo del gas e i suoi compari fanno parte della banda della Tratta delle bianche. Le anticipo, commissario, che il signor Questore ritiene che il delitto e il rapimento siano naturalmente maturati nell’ambiente della Tratta delle bianche di Collitondi. Trafficanti senza scrupoli uccidono le anziane donne che si ribellano al ratto delle più giovani e rapiscono le acerbe ragazzine per soddisfare i piaceri di vecchi ricconi d’oltralpe. Molto probabilmente, il basista ha preparato il campo per il rapimento della ragazza uccidendo la domestica e i suoi complici hanno fatto il resto. Senza ombra di dubbio la ragazza è già stata portata in qualche alcova d’oltralpe e il nababbo se la gode alla faccia dei contribuenti. Noi, della Questura Centrale, archivieremo il caso come “crimine maturato nell’ambiente della Tratta delle bianche, commesso da ignoti professionisti d’oltralpe che sono espatriati, sfuggendo alle maglie dell’Interpol”.

Il commissario non parlava. Intanto il vicario continuava.

“Tale efferato crimine, se non fosse risolto in tempi rapidi, potrebbe essere molto dannoso per l’immagine della Questura e del Questore. Si ricordi, che abbiamo il sacrosanto dovere di porre in atto quanto abbiamo in nostro potere per tranquillizzare la cittadinanza. Poi, egregio commissario Cantagallo, si ricordi sempre quello che le dico. Quando si è perpetrato un fatto criminoso, abbiamo il dovere d’intervenire per rassicurare la gente, in quanto i criminali devono sapere che «Sine qua non», ovverosia «Siamo qua noi», come dicevano i latini e anche il signor Questore. Le raccomando, durante il colloquio con il signor Questore Zondadari, tatto e modi garbati. La saluto. Vada pure, perché è già in ritardo. Si sbrighi, commissario. È in ritardo con la convocazione del signor Questore. Buonasera”.

“Buonasera” - rispose asciutto il commissario e girò il sedere per andare dal Questore.

Alla fine del corridoio sulla destra c’era l’ufficio di Zorro. Anche questa porta era aperta.

“Vivaddio, Cantagallo! Alla buon’ora!”- esclamò il Questore Zondadari, da dietro la sua scrivania. – “È da ieri sera che la sto cercando per mare e per terra”.

“Questore, ieri sera mancava il segnale…”.

“Altro che segnale!”- tuonò l’altro, con il suo sgradevole tono di superiorità. -“Le mancava un telefonino nuovo, altroché! Ad ogni buon conto, Cantagallo, veniamo a noi. I gravi fatti accaduti ieri notte mi lasciano basito. Una governante barbaramente uccisa, una giovane innocente rapita e preda dei trafficanti di donne. Due efferati crimini in una sola notte! Siamo già sulla bocca di tutti! Per non parlare della campagna denigratoria che metterà in atto la stampa avversaria nei confronti della mia persona e della Questura. Sarò lo zimbello di tutta Castronuovo! Bisogna dare una risposta immediata agli organi di informazione! Del resto, la soluzione del caso è lampante ed è sotto gli occhi di tutti! La mia attenta ricostruzione dei fatti indica chiaramente che si tratta di un crimine commesso dalla spregevole banda della Tratta delle bianche che imperversa da tempo in tutta la provincia…”.

“Questore, ma di questa banda che dice lei non si è mai sentito parlare e …” - tentò di replicare Cantagallo, innervosito da certe frasi che non avevano né capo né coda.

“Non m’interrompa, Cantagallo! Quando lei parla, IO l’ascolto! Mi lasci concludere! Quando c’incontriamo, fra me e lei, è sempre così. M’interrompe e mette bocca con quei suoi modi contadini di interloquire! Non siamo mica delle comari sull’aia di una fattoria a battere il granturco! E poi questa inezia che lei dice: «Non si è mai sentito parlare, eccetera, eccetera», ma che importanza vuole che abbia! L’opinione pubblica non può essere messa al corrente di tutto quello che succede in Questura!”.

“Continui pure, Questore” – Cantagallo era sfinito, esausto, da tutte quelle parole senza senso.

“Allora, dicevo, il basista della banda della Tratta delle bianche, quel tale Giolli, ha trucidato la domestica che si opponeva al crimine e ha così aperto la strada ai suoi complici che hanno rapito la ragazza. Il basista è stato lasciato sul posto per depistare la Polizia, mentre i criminali hanno portato a termine il loro piano con il rapimento della giovane innocente. Senza ombra di dubbio i criminali sono già oltre il nostro confine e hanno già consegnato la povera giovane al ricco nababbo che se la gode nella sua alcova coatta oltre frontiera. Noi, della Questura Centrale, archivieremo questo caso come “crimine maturato nell’ambiente della Tratta delle bianche, commesso da ignoti professionisti d’oltralpe che sono espatriati, sfuggendo alle maglie dell’Interpol”.



-E bravo Zorro!- pensava Cantagallo. -Aveva imparato a memoria gli appunti di Garçia e in meno di ventiquattrore, aveva risolto il caso. Al suo confronto, l’investigatore Ercule Poirot poteva andare a vendere i brigidini al mercato del paese-.

Il commissario era in silenzio: come quelle caffettiere al fuoco che prima non fanno rumore e poi sbuffano a tutto vapore quando incomincia a uscire il caffè!

Il Questore, imperterrito, continuava la sua arringa trionfale.

“Tale efferato crimine, Cantagallo, se non fosse risolto in breve tempo, danneggerebbe molto la mia immagine anche dinanzi al popolo della mia contrada. Proprio ora che la data del venti di ottobre è ormai alle porte! Le ricordo, che in quella domenica, successiva di un mese dall’ultimo Palio dei somari, la città si addobba a festa per il ringraziamento alla Beata Vergine. Ad ogni buon conto, Cantagallo, dobbiamo porre in atto quanto abbiamo in nostro potere per tranquillizzare l’opinione pubblica. Si ricordi sempre quello che le dico. Siamo di fronte ad un crimine irrisolvibile e, come dicevano i latini, che lei, Cantagallo, non ha conosciuto: «Ad impossibilia nemo tenetur». Cantagallo, non stia a lambiccarsi il cervello, gliela traduco io la frase: «Nessuno è tenuto a fare cose impossibili». Non possiamo, però, nemmeno stare fermi e questa è la versione che dobbiamo dare dei fatti accaduti, senza ombra di dubbio!”.

-Tutto come sempre e non poteva essere altrimenti!- pensava Cantagallo. - Zorro ha impacchettato la soluzione dell’indagine con quello che gli ha detto Garçia -.

Il commissario prese dalla sua valigetta gli appunti dell’indagine e rispose tranquillo al Questore.

“Questore, i fatti parlano chiaro. Dagli indizi a nostra disposizione e da certe indiscrezioni fornite dai nostri informatori” – Cantagallo, quando era necessario, mentiva pur di avere subito un vantaggio nell’indagine in corso - “risulta che si tratti di un crimine a sfondo passionale. Niente a che vedere con la banda della Tratta delle bianche. Importanti elementi” – Cantagallo dava il meglio di sé in certe situazioni – “ fanno ragionevolmente supporre che chi ha ucciso la donna ha poi rapito la ragazza che aveva visto e sentito troppo. Chi ha ucciso la domestica non è un professionista. Gli esami del medico legale lo confermano, e non ci sono elementi che indichino la presenza di uomini di questa fantomatica banda della Tratta delle bianche. L’analisi della scena del crimine parla chiaro ed esclude la presenza di altre persone. Non vorrei, Questore, che alla stampa fosse servita una soluzione fumosa che finirebbe per mettere in cattiva luce la sua persona e la Questura intera”.

Il Questore ascoltava in silenzio e con attenzione. Poi iniziò a parlare con un tono più dimesso.

“Ad ogni buon conto, Cantagallo, se gli indizi e le indiscrezioni…”.

Cantagallo non era contento. Rincarò la dose e affondò la stoccata vincente.

“E poi, Questore, proprio in questo delicatissimo momento, del ringraziamento alla Beata Vergine. Sarebbe un sacrilegio se l’atmosfera che regna nella città” – Cantagallo attingeva a tutta la sua dialettica migliore per infinocchiarlo – “ fosse rovinata da qualche articolo del Corriere che espone alla gogna la sua persona. Mi dia cinque giorni di tempo e risolvo il caso”.

Il Questore si fece pensieroso. Immaginava il funesto articolo in prima pagina sul Corriere:







“Commissario Cantagallo, alla luce dei fatti nuovi, di cui giungo a conoscenza solo in questo istante, convengo che ci siano degli elementi validi per proseguire la strada che ha intrapreso. Ad ogni buon conto, dei cinque giorni non se ne parla nemmeno. Le posso concedere due giorni, tutto compreso, e non uno di più. Se li faccia bastare. Può andare, Cantagallo. La devo liberare dalla riunione perché sono atteso ai preliminari della cerimonia del ringraziamento. Buonasera”.

“Bene, Questore Zondadari. Buonasera”.



Il filo di Arianna - Quinta parte

Cantagallo per tutto il viaggio di ritorno a Collitondi pensava e rimuginava su quel benedetto filo di cotone. Più ci pensava e più si convinceva che c’era qualcosa che non gli tornava. La signora Piera era una sarta e nel salotto c’erano molti fili in giro, ma quel filo legato alla sedia e alla porta non era normale. Per sgombrare il campo da qualsiasi dubbio decise di passare dalla casa della signora Piera per avere qualche informazione su quel filo. Parcheggiò l’auto nelle vicinanze del condominio e scese. Prima di entrare nel palazzo si avvicinò a una persona che conosceva bene.

“Comandante Cherubini, buonasera” – disse subito – “Vedo che è impegnato in prima persona per seguire la faccenda”.

“Buonasera, commissario Cantagallo. Sì, di pomeriggio ci sono io insieme ad un altro collega. Facciamo quello che abbiamo concordato ieri. Io e un altro collega controlliamo in modo discreto il condominio con la speranza che qualcuno si possa fare vivo. Due vigili urbani possono girare in un parcheggio e nessuno può pensare che controllino un palazzo. Qualcuno si è fatto vivo con la famiglia?”.

“No, per ora nessuno si è sentito. Mi raccomando, se vede qualcosa di sospetto non esiti a chiamare. C’è in ballo la vita di una ragazza di sedici anni”.

“Non dubiti, commissario”.

“Buon lavoro, comandante e grazie”.

“Prego e buon lavoro anche a lei”.

Cantagallo proseguì e suonò al campanello della signora Piera. La voce della donna chiese chi è e alla risposta del commissario aprì il portone. Fatti pochi passi Cantagallo incontrò il portiere del condominio che gli venne incontro.

“Buonasera, sono Patrizio, il portiere. Posso esserle utile?”.

“Buonasera, sono il commissario Cantagallo del commissariato di Collitondi. Salgo dalla signora Piera per quel fatto avvenuto ieri sera”.

Il portiere non indossava una divisa, ma era vestito in abiti normali. Aveva dei pantaloni in lana senza piega, una camicia a quadrettini scolorita sotto un golfino dai colori indefinibili. Era un po’ più basso del commissario e un po’ più vecchio d’età, anche nell’aspetto. Una calvizie avanzata aveva confinato i capelli brizzolati alla periferia della testa che era abbronzata per metà, come se tenesse in testa un cappello quando andava fuori.

“Ah, già! Per quel fattaccio della domestica e della nipote. Io ho già detto ai poliziotti tutto quello che sapevo. Quando è successo ero a controllare l’ascensore e non mi sono accorto di nulla. Se posso darle una mano, dica pure. Sono a sua disposizione. Vivo da solo e sto qui tutto il giorno nella guardiola, se non devo fare dei lavoretti per i condomini. Perciò se posso dare una mano alla Polizia, sono qui pronto a farlo. Ho tanto tempo libero. Sa, non faccio le pulizie del palazzo. A quelle ci pensa una ditta che viene da fuori ogni venerdì e pulisce pure l’ascensore. Mi hanno assunto per i furti che sono capitati nel condominio negli anni passati e da quando ci sono io non è più successo” – disse lui, orgoglioso. – “Sa, signor commissario, in questo condominio mi stimano tutti per quello che faccio. Proprio l’altro giorno…”.

Cantagallo troncò il colloquio perché voleva parlare alla nonna e rientrare presto al commissariato. Notò che il portiere era troppo insistente nel volersi dare da fare a tutti i costi e nel dire le sue doti.

“Mi scusi, signor Mucci, ma la devo proprio lasciare. Dopo, mi aspettano al commissariato. Arrivederci”.

“Arrivederci, signor commissario” – rispose il Mucci, un po’ seccato.

Cantagallo prese l’ascensore per fare prima. Mentre saliva si guardò allo specchio per darsi una sistemata e l’occhio gli cadde su qualcosa di bianco che pendeva dalla cornice metallica che sosteneva il vetro: era un piccolo pezzo di filo bianco arrotolato intorno ad una vite di poco sporgente. Prese le foto dalla sua valigetta, le confrontò con quel pezzo di filo dell’ascensore e notò che erano molto simili. Non perse tempo. Quando l’ascensore si fermò al piano, con il suo telefonino fotografò il filo arrotolato alla vite. Poi, con un guanto mono uso, che prese da una confezione che teneva nella sua valigetta per ogni evenienza, raccolse il filo sfilandosi poi il guanto in modo tale da fare rimanere all’interno il pezzo di cotone. Uscì sul pianerottolo e la signora era già sull’uscio ad aspettarlo. Lo salutò, chiese notizie della nipote e poi lo fece accomodare nel salotto. Cantagallo spiegò alla signora i fatti, le fece vedere i reperti del filo, le foto scattate del filo arrotolato, senza dirle del filo che aveva trovato nell’ascensore. Poi le chiese che tipo di filo fosse quello arrotolato e se fosse stata lei ad arrotolarlo.

“È normale filo da imbastire, basta poco e si rompe. No, signor commissario. Non sono stata io ad arrotolare il filo a quel modo. Perché avrei dovuto farlo? Il filo usato lo butto sempre in terra. Ora che mi ci fa pensare, devo averlo finito tutto perché non trovo più il rocchetto di quel filo”.

“Signora, la ringrazio è stata molto utile. Ora però devo scappare al commissariato. Buonasera”.




Il filo di Arianna - Sesta parte

Il commissario non pose tempo in mezzo e telefonò a Baccio perché avvertisse il resto della squadra della convocazione della solita riunione di lavoro. Nel giro di dieci minuti era già al commissariato e stampò con il computer le foto che aveva scattato con il telefonino. Poi prese il kit d’emergenza della Scientifica e chiuse in una busta di plastica trasparente il reperto del filo trovato nell’ascensore. Aprì la porta della stanza da lavoro e incominciò a preparare i pannelli con gli indizi di quell’indagine. Nel pannello di sinistra, quello della vittima, mise le foto della domestica uccisa, della ragazza rapita, dei pezzi di filo arrotolato e le bustine con il filo repertato. Nel pannello di destra, quello dell’ipotetico criminale, solo un foglio bianco, con disegnato un grande punto interrogativo fatto con il pennarello nero. Cantagallo, mentre sistemava gli oggetti, pensava di nuovo a quei pezzi di filo di cotone arrotolato. Se la signora Piera non era stata, chi poteva averlo fatto? La domestica? Per quale ragione avrebbe dovuto arrotolare dei pezzi di filo per la casa? Avrebbe semmai dovuto toglierli per fare vedere che aveva pulito. Rimaneva solo la nipote Arianna. Poi c’era anche il fatto del rocchetto di filo da imbastire che non si trovava. Cantagallo metteva insieme mentalmente tutti quei fatti: pezzi di filo arrotolato, rocchetto di filo sparito, Arianna sparita. Poi, a un tratto, mentre posizionava una bustina con il filo sotto la foto di Arianna, ebbe come un’illuminazione e mise insieme le due parole: filo e Arianna. Cantagallo era convinto di aver trovato l’indizio chiave di quell’indagine. La sua ipotesi gli sembrava molto semplice, ma poi si convinse che non poteva escluderla.

Intanto il resto della squadra arrivò nella stanza alla spicciolata. Salutarono tutti il commissario e si misero a sedere di fronte al grande tavolo che stava davanti ai pannelli. La squadra era al completo, non mancava nessuno: la vice, Turchi Nicoletta, gli ispettori, Bandini Marcello, Razzi Massimo e gli altri, Bacciottini Massimo detto Baccio, Capperucci Anna detta Cappera, Neretti Gabriele detto Nero, Mannucci Nicola detto Manno, Bandini Lolita che era la sorella di Bandino detta Bandina, e Antichi Lucia detta Antica.

Il commissario, come da copione, prese la parola per illustrare i fatti.

“Vi ho convocato un po’ in fretta perché c’è un nuovo indizio che ho scoperto proprio poco fa, prima di fare una visita alla signora Piera. Il fatto nuovo è questo” – e mostrò l’ultima bustina con il filo e la foto scattata nell’ascensore. – “L’ho trovato arrotolato a una vite dello specchio dell’ascensore del condominio della signora, nello stesso modo degli altri due trovati in casa. Il filo è dello stesso tipo degli altri due pezzi e si tratta di filo da imbastire che si rompe facilmente con le mani. La signora mi ha detto anche che non trova più il rocchetto del filo da imbastire e che forse lo deve aver finito tutto. Ricordo a chi non ha seguito l’indagine nei dettagli che un filo arrotolato è stato trovato a una gamba del salotto, un altro a un pomello interno della porta di casa della signora Piera e l’ultimo nell’ascensore, e tutti e tre sono arrotolati allo stesso modo. Tre sono troppe come coincidenze e sono comunque delle coincidenze strane. La signora Piera mi ha detto che non è stata lei ad arrotolare quei pezzi di filo. La domestica la escludo perché deve pulire la casa. Rimane solo la nipote Arianna” – Cantagallo si concesse una pausa, mentre guardava i suoi colleghi.

“E perché Arianna doveva usare del filo, commissario?” – chiese Baccio, dubbioso e frastornato.

“Hai fatto una bella domanda, Baccio” – rispose Cantagallo. - “Però risponderò con un'altra domanda, che faccio a tutti. Se mettete insieme filo e Arianna cosa vi viene in mente?”.

“Il filo di Arianna” – rispose subito Antica, la più acculturata della squadra – “è conosciuto per una storia della mitologia greca che racconta di Arianna che si innamorò di Teseo quando lui sbarcò con la sua nave a Creta per uccidere il Minotauro nel labirinto. Arianna diede a Teseo un gomitolo di lana perché potesse segnare la strada percorsa nel labirinto e quindi uscirne facilmente. Dopo Arianna fuggì con lui e gli altri ateniesi verso Atene, ma Teseo l’abbandonò sull'isola di Nasso”.

“E brava Antica!” – esclamò il commissario. –“Ero sicuro che sapevi la risposta”.

Razzo sorrise e disse a sua volta.

“Lo sapevo anch’io, commissario. Ma ho voluto che fosse Antica a fare la bella figura. Dico bene, Bandino?” – chiese poi a Bandino che gli stava accanto e che rideva di nascosto.

“Dici bene, Razzo” - rispose l’altro, ironico, e rincarò la dose. - “Se ogni tanto Antica non la facciamo sfogare con le sue informazioni culturali, ci rimane male”.

“Comunque” – era il commissario che continuava – “per me il messaggio è chiaro. Arianna ci ha segnato la strada che ha fatto quando è stata rapita. Forse non è neppure troppo lontana. Pensavo questo. Domani mattina, Nero e Manno travestiti da elettricisti, controlleranno dall’interno il condominio e riferiranno quello che succede. Loro due sono poco conosciuti all’esterno del commissariato e non danno nell’occhio. Fingerete di essere degli operai dell’Enel e speriamo scappi fuori qualcosa. Ah, dimenticavo. Oggi ho visto il Questore e ci ha dato due giorni per risolvere l’indagine”.



Il filo di Arianna - Settima parte

“Buongiorno, Iolanda” – disse Cantagallo alla moglie, appena arrivò in cucina per fare colazione. – “Luigi?” – chiese poi non vedendo il figlio.

“Buongiorno, Angelo. Luigi è sempre in bagno. Che ci farà, non si sa!” – rispose lei, mentre finiva di mettere il caffelatte nelle tazze. Poi si accorse dell’arrivo del figlio. - “Ben arrivato, Luigi!”.

“Buongiorno” – rispose il figlio assonnato, mentre terminava di vestirsi.

“Buongiorno” – disse di nuovo Cantagallo. – “Io mi sbrigo perché l’indagine su quella ragazza rapita non ci dà tregua e devo essere presto al commissariato. Lo sapete anche voi che…”.

“…il crimine non aspetta” – conclusero insieme Iolanda e Luigi.

Cantagallo terminò la colazione, baciò la moglie, baciò il figlio, prese il sacchetto della spazzatura, uscì e salì sull’auto per andare al commissariato. Intanto Nero e Manno avevano già preso posizione con le loro tute da falsi operai dell’Enel. Di prima mattina si erano presentati al portiere Mucci e avevano accampato la scusa che erano di una ditta in sub-appalto che lavorava per conto dell’Enel per fare dei lavori di manutenzione a una centralina elettrica del condominio. Il Mucci dopo un po’ si era convinto e si era messo nella guardiola a farsi gli affari suoi. Ogni tanto dava un’occhiata agli “operai”, poi continuava a leggere un grosso libro che teneva sul tavolino. Il condominio era poco trafficato, anche se gli inquilini erano molti. I soliti via vai la mattina presto, distributori di volantini pubblicitari, postino e qualche chiamata dei condomini per il portiere. Tutto sembrava tranquillo. Nero e Manno continuavano indisturbati il loro lavoro facendo la spola fra le cantine e i locali interni vicini all’ingresso del palazzo dove si trovavano i contatori elettrici generali del condominio. Non avevano notato niente di particolare salvo il fatto che il Mucci leggesse sempre un grosso libro. Addirittura lo videro mentre faceva sulle pagine delle annotazioni con il lapis e altre volte usava una penna rossa. Quando si volevano avvicinare per capire cosa facesse, il Mucci, faceva finta di niente, chiudeva subito il libro e si metteva a consultare l’elenco telefonico. Ogni volta che provavano ad avvicinarsi alla guardiola non avevano avuto la possibilità di capire cosa scrivesse su quel libro e di quale libro si trattasse.

Intanto al commissariato due condomine del palazzo della signora Piera avevano chiesto un colloquio urgente con il commissario Cantagallo per fare una testimonianza sul delitto. Le due signore, entrambe vedove e di statura normale, avevano una certa età, intorno ai settantacinque anni, e si erano già piazzate a sedere di fronte al commissario. Una più grassa e più alta, capelli neri tinti perfetti e un po’ più giovane, era la signora Adua Grassini, mentre l’altra più snella e più bassa, capelli brizzolati mossi e un po’ più vecchia, era la signora Ada Grassi. Adua abitava sopra la signora Piera, mentre Ada abitava nell’appartamento di fronte. Le due donne da più di venti minuti bombardavano il commissario con una pioggia di parole e Cantagallo era rintronato da quel fuoco incrociato di discorsi che a malapena riusciva a capire. Le poche cose che aveva capito erano che Ada e Adua vivevano da sole, Ada faceva la carne alla brace sul suo terrazzo la domenica e Adua stendeva le lenzuola dal suo balcone sempre di domenica. Durante il giorno si parlavano dal terrazzo, Ada sotto e Adua sopra. Cantagallo capiva che le due signore avevano bisogno di parlare, ma c’era un limite a tutto. Per un po’ le lasciò sfogare.

“Vede, signor commissario” – diceva la signora Adua – “io lo dico sempre a Ada: non fare troppo fumo con quella brace, che mi s’affumicano le lenzuola! Io tendo le lenzuola fino al tocco e dopo tu accendi la brace, e fai tutto il fumo che ti pare. Lei che dice, signor commissario?”.

“In effetti, ma…” – Cantagallo cercava di fare una breccia in quel muro di parole senza riuscirci.

“Vede, però, signor commissario” – ribatteva la signora Ada – “io lo dico sempre a Adua: dimmelo che tu hai teso le lenzuola e accendo la brace dopo! Adua, invece, che fa: piglia le lenzuola e, di nascosto, le tende senza dirmelo. Le pare il modo, signor commissario?”.

“Signore, scusate” – Cantagallo si era alzato in piedi per interrompere quelle chiacchiere. – “Ma non eravate venute a parlarmi di quella testimonianza?” – e si rimise a sedere.

“Giusto, signor commissario” – rispose Ada che poi guardò Adua per avere da lei il cenno a proseguire. Lo ebbe e proseguì. – “Si tratta di quell’uomo, il Giolli. Per noi è il colpevole. Da alcuni giorni gira nel condominio ed entra nelle case. Per noi è lui l’uomo che ha ammazzato la povera Franca. Il Giolli ha proprio una brutta faccia da delinquente. Vero, Adua?”.

“Vero, Ada!” – rispose l’altra – “un viso brutto come quello non l’ho mai visto”.

“Cara signora Ada…” – iniziava a dire Cantagallo, rivolgendosi a quella che pensava fosse la signora Grassi e che non lo era.

“Adua, signor commissario. Io sono Adua e non Ada!” – esclamò la corpulenta signora.

“Scusi, signora Adua. Io la ringrazio per la sua testimonianza, come ringrazio lei…” – Cantagallo si era voltato verso l’altra signora, ma fece una pausa perché con tutte quelle Ada e Adua era entrato in confusione. Pensò un attimo e continuò – “signora Adua…” – ma aveva sbagliato un’altra volta.

“Signor commissario, io sono Ada e non Adua!” – esclamò irritata l’altra.

“Scusi, signora Ada. Il fatto è che il signor Giolli è innocente ed è già stato scagionato. Passava di lì per caso mentre faceva il suo lavoro per la lettura dei contatori del gas”.

Le signore ci rimasero male. Indispettite dalla notizia, si alzarono di scatto dalle sedie.

“Andiamo, Ada! Tanto qui non serviamo più!” – disse quella, facendo le spallucce.

“Brava, Adua! Così faccio in tempo a passare dal macellaio della Coppina!” – approvò l’altra.

E uscirono a braccetto dall’ufficio di Cantagallo.




Il filo di Arianna - Ottava parte

Anche il commissario ne approfittò per farsi un giro in paese. Voleva vedere se certi suoi “informatori” erano al corrente di qualcosa sul conto della nipote rapita o della domestica uccisa. Passò prima dall’edicola perché doveva ancora comprare il giornale.

“Gazzetta, buongiorno!” – disse il commissario, entrando nell’edicola.

“Buongiorno, signor commissario!” – rispose l’edicolante. – “Ecco a lei” – fece sempre lui, mettendo sul bancone il quotidiano di Cantagallo.

“Mi hanno detto che in paese non si parla d’altro che di quello che è successo l’altra sera. Tu, Gazzetta, sai qualcosa?”.

Gazzetta faceva il finto tonto, come sempre, quando sapeva qualcosa e non voleva far vedere a Cantagallo che era informato sui fatti accaduti. Tergiversava, prendeva tempo, biascicava qualcosa e poi buttava là quello che sapeva, come se niente fosse. Ma stavolta poteva essere poco d’aiuto.

“Ma che le devo dire, signor commissario” – iniziò lui, stringendosi nelle spalle. – “Quella Franca era una gran brava donna. Andava a servire in due famiglie del paese e si faceva pagare il suo, senza approfittarsene. Una volta la indicai a una famiglia che aveva bisogno di un aiuto in casa per guardare dei bimbi piccoli. Era proprio una brava donna. Non meritava una fine brutta così”.

“E della nipote della signora Piera, che mi dici? Frequenta brutte compagnie?”.

“Chi? Arianna? Ma nemmeno per idea! Arianna è una ragazza che tanti genitori vorrebbero avere come figlia. Ha un fidanzato, Stefano, che abita in paese e anche lui mi sembra un ragazzo a posto. Fanno la stessa scuola, se non sbaglio. Arianna è brava, tranquilla, senza grilli per la testa. In settimana studia e poi fa un po’ di struscio per il paese. Il sabato va a ballare in discoteca, così come deve essere per una ragazza di quell’età. Non l’ho mai vista a giro con gentaglia o ragazzacci. Ma lei pensa che sia stata rapita da un maniaco?”.

“No, Gazzetta. Non ho detto questo. Cerco soltanto di capire qualcosa di questa faccenda per scoprire il colpevole. Tutto qui. Ti ringrazio per quello che mi hai detto. Ci vediamo. Buongiorno” – pagò il giornale e uscì per andare dal suo amico del bar pasticceria Pierina.

Santonorè fu più sbrigativo dell’edicolante. Era nel bel mezzo della preparazione di una crema pasticcera perché doveva consegnare dei dolci a un cliente ed era in ritardo. Il profumo della vaniglia aveva impregnato la tuta bianco latte del pasticciere. Ascoltò il commissario e confermò a Cantagallo quello che aveva detto Gazzetta. Poi lo salutò e scomparve nel retro bottega, portandosi dietro un dolcissimo odore di crema.

Cantagallo ritornò sui propri passi. Quell’uscita in paese non aveva dato buoni frutti. Non poteva certo basare le sue ipotesi investigative su delle chiacchiere di paese, ma a volte certe indiscrezioni potevano essere utili per battere una pista o condurre l’indagine in un certo modo. Aveva pochi elementi in mano e c’era sempre a piede libero un criminale che aveva ucciso una donna e rapito una ragazza. Per ora, gli unici indizi erano quei pezzi di filo arrotolato.

Se ci pensava bene, la sua ipotesi investigativa era così debole cha poteva stare appesa a un filo… da imbastire!

Mentre pensava, cominciò a suonare il suo telefonino. In genere, quando era fuori ufficio, Cantagallo aveva difficoltà a trovarlo subito, quando suonava.

“Ma dove si sarà cacciato questo telefonino? Proprio ora che mi stanno chiamando”- mentre si tastava dappertutto per capire dove fosse. - “Ah, eccolo! Pronto! Eccomi, Nero. Dimmi tutto. Ci sono novità?”.

“Dipende, commissario”.

“Spiegati meglio, Nero”.

“Nel palazzo non abbiamo notato nessun movimento strano. Siamo lì da stamani e nessun estraneo ci ha dato nell’occhio. Però abbiamo notato qualcosa di strano in quel portiere. Quando sta nella guardiola legge sempre un libro grosso. Lo sfoglia, ci scrive qualcosa sopra con il lapis e poi sottolinea delle frasi con una biro rossa. Se ci avviciniamo alla guardiola chiude il libro e prende l’elenco telefonico”.

Cantagallo era incuriosito da quello che raccontava Nero.

“E allora?”.

“Allora abbiamo aspettato che qualcuno lo chiamasse. Abbiamo aperto il libro e lo abbiamo sfogliato per fare delle foto con il telefonino alle pagine scritte e sottolineate”.

“Ma di che frasi si tratta?”.

“Non glielo so dire con precisione, commissario. Abbiamo fatto in fretta per evitare di essere scoperti. Ho visto solo l’autore e il titolo del libro”.

“È un giallo?”.

“No, commissario. È un altro genere. È la Divina Commedia di Dante Alighieri”.

domenica 3 luglio 2011

Il filo di Arianna – Seconda parte

Il filo di Arianna - Seconda parte

La Polizia fu avvertita subito e dopo una decina di minuti il commissario Cantagallo era già lì insieme a Bandino. Poco dopo arrivò anche la vice e li trovò fermi sulla soglia della casa della signora Piera. La porta accanto era aperta e c’erano alcune persone che parlottavano di fuori. La vice si fece largo e si avvicinò ai colleghi.
“Ciao, Bandino” – disse lei. – “Commissario, buonasera. Bandino mi ha detto della morte della donna e della nipote che è stata rapita. Ma che è successo?”.
“Buonasera” - disse Bandino, spostandosi da una parte per fare posto alla vice.
“Buonasera, dottoressa” – disse Cantagallo. - “Hanno ucciso la domestica della signora Giubbolini mentre la nipote, Arianna, non si trova” – fece una pausa e poi riprese a parlare. - “La nonna pensava che la nipote impaurita fosse scappata, ma purtroppo non è così. La signora ha telefonato ai genitori per sapere se fosse corsa a casa, ma Arianna a casa non è mai arrivata. Ho fatto accomodare tutte le persone nell’appartamento, qui accanto, dei signori Giannelli, per evitare l’inquinamento della zona del delitto. I genitori sono qui e sono disperati. La nonna, pure. S’incolpa di quello che è successo e non si da pace. Al momento non abbiamo notizie della ragazza e nessuno si è fatto vivo. Faccia una cosa, dottoressa”.
“Dica, commissario”.
“Ai genitori faccia le solite domande. Chieda informazioni sulla figlia, con molto tatto. Chieda anche alla signora Giubbolini informazioni sulla domestica uccisa. Bisogna scoprire cosa è successo e muoversi in fretta. Non si stupisca se trova anche sue due vecchie conoscenze”.
“Chi, commissario?” – chiese sorpresa la vice.
“La signora Primetta con la sua amica Leontina. Avevano accompagnato la signora Giubbolini ed erano presenti al momento del ritrovamento del cadavere”.
“No!” – esclamò più sorpresa che mai, nel sentire il nome familiare della signora Brogioni. - “Ma è davvero incredibile, commissario! La signora Primetta è proprio la “signora Omicidi” di Collitondi! Si trova sempre nei paraggi quando succede un delitto”.
“Ah, dimenticavo. Nell’appartamento c’è anche un uomo che la signora Giubbolini ha trovato sulla porta di casa. L’uomo, Sergio Giolli, è uno di quelli che legge i contatori del gas. Ha detto che passava di lì per puro caso. Dovrebbe essere a posto, ma, per sicurezza, ho chiesto un controllo alla Questura. Il tempo di ricevere la conferma telefonica che il tipo sia incensurato e lo faccio andare via. Anche il Giolli è rimasto un po’ scosso da quello che ha visto. Razzo è lì con lui e lo sta piantonando. Noi rimaniamo qui. Aspettiamo quelli della Scientifica e il resoconto del dottor Baglioni. Agli uomini di Cherubini ho detto di tenere lontano i curiosi. Quando arrivano gli altri colleghi perimetriamo la zona, come al solito”.
Dopo una ventina di minuti gli uomini con le tute bianche della Scientifica erano già lì. Il medico legale dottor Baglioni salutò di malavoglia e di sfuggita il commissario.
“Ciao, Angelo” – disse il medico, mentre guardava le due porte aperte degli appartamenti per capire dove doveva andare. – “Dove vado?” – chiese poi al commissario.
“Ciao, Paolo. Di là” – e gli indicò con la mano la porta spalancata di casa Giubbolini.
“Angelo, mi raccomando”- disse il medico, fermandosi sulla soglia e guardando di sbieco Bandino. – “Mi raccomando. Finché non ho finito, non voglio tra i piedi i tuoi uomini. Bandino e Razzo, che non lo vedo e meno male, stiano alla larga! Non mi stuferò mai di dirlo. Ogni volta che c’è in giro un morto stanno a pesticciare intorno come degli avvoltoi. Lasciatemi lavorare in pace. Quando ho finito faccio un fischio! Capito?”.
“Capito. La donna era la domestica della signora Giubbolini” – rispose asciutto Cantagallo.
Stroncapettini sparì e dopo una mezzora era di ritorno. Si tolse i guanti in lattice.
“C’è poco da dire, Angelo. La vittima è una donna di statura media, capelli castani e occhi castani, uccisa con tre colpi di coltello all’addome e tre colpi di coltello alla schiena. I colpi, probabilmente, sono stati inferti con un coltello da cucina, da destra verso sinistra, da una persona non mancina. La donna è stata picchiata dall’aggressore. Sul corpo sono presenti degli ematomi dovuti probabilmente a dei colpi che ha ricevuto. Da un esame sommario del corpo e delle mani della vittima si nota l’assenza di residui di qualsiasi tipo sotto le unghie. Niente in bocca. La donna sembra sia stata uccisa d’impeto per un motivo passionale. Per me, chi ha aggredito la donna voleva ucciderla. Saprò essere più preciso dopo l’autopsia, come al solito”.
 “Grazie, Paolo” – disse Cantagallo. – “Facciamo i nostri rilievi e dopo ritorni a casa” – e cambiando il tono della voce. – “Inizio settimana brutto?” – chiese, per capire il motivo del cattivo umore dell’amico medico.
“Pessimo, Angelo. Oggi, è già il terzo morto. Stamattina mi sono dovuto ficcare pure dentro un fosso per due cadaveri irriconoscibili” – rispose più cordiale. – “Si può avere un caffè?”.